(foto Ansa)

L'impresa eccezionale di Marco Bucci a Genova

Maria Carla Sicilia

Il commissario straordinario sarebbe stato un capro espiatorio perfetto in caso di fallimento. Ora che il nuovo viadotto San Giorgio è stato consegnato non dimentichiamoci che è anche merito suo

A ripercorrere i due anni che sono trascorsi dal crollo del ponte Morandi fino a oggi, all'inaugurazione del nuovo viadotto San Giorgio, salta agli occhi la compostezza di chi questo traguardo l'ha reso possibile. Il riferimento non è al governo, né quello attuale né tantomeno quello precedente, che non ha risparmiato strepiti, quanto invece alla squadra operativa e al commissario straordinario Marco Bucci. Sindaco di centro destra, pragmatico e risolutivo, dopo cinquanta giorni dal lutto cittadino che ha ferito Genova, Bucci è stato investito dell'onere di condurre un progetto su cui in pochi avrebbero accettato di mettere la faccia. Le premesse non erano delle migliori. Non lo era districarsi nella struttura commissariale architettata dall'allora ministro Danilo Toninelli, con il rischio di diventare il capro espiatorio di un'altra opera italiana mai realizzata, così come cadere nella tentazione di intervenire nelle polemiche tra il governo e i Benetton. E invece Bucci ha sempre tenuto il punto, anche quando la consegna del viadotto, ormai ultimato, ha rischiato di slittare per via delle resistenze del ministero dei Trasporti di consegnare l'opera alla società Autostrade. “Da un mese chiamo il governo per sapere a chi bisogna affidare questa opera”, ha detto al Foglio parlando con Carmelo Caruso un mese fa, salvo poi fugare ogni dubbio e chiarire “non è il mio compito e non è il mio ruolo giudicare Autostrade”. “Di una cosa sono sicuro. Il ponte lo consegnerò. Non voglio sapere a chi. Non mi riguarda come, non voglio sapere se provocherà divisioni, se scontenterà qualcuno. Ma lo dico e sono pronto a ripeterlo: Genova aprirà il suo ponte. Io ci scommetto”.

   

Ora che la scommessa è vinta e il ponte riconsegnato alla città, è il modello Genova a uscirne rafforzato, una macchina che non ha lasciato spazi a personalismi e che ci si interroga se possa o meno essere replicata. La risposta è tutt'altro che scontata perché il modello Genova è la somma di condizioni assolutamente eccezionali. Non solo per i poteri del commissario, per le deroghe al codice degli appalti, per la velocità delle procedure autorizzative e quindi per una burocrazia ridotta all'osso, ma anche per le risorse messe subito a disposizione da Autostrade e l'assenza di ricorsi.  

   

Eppure per Bucci, che in prima linea ha gestito il progetto, la ricostruzione del viadotto non è stata un'impresa eccezionale, ma solo una prova di efficienza. E in questo pensiero c'è tanto del pragmatismo del manager che è stato prima di essere sindaco, prima negli Stati Uniti, tra Minnesota e New York, poi anche in Italia. “Abbiamo fatto esattamente quel che succede nelle aziende private”, ha detto pochi giorni fa all'Agi, “ci si prende le proprie responsabilità, perché se la gente non lo fa il sistema non funziona, ci si rimbocca tutti le maniche 24 ore su 24. Tutto questo nel mondo è normale: non può essere un'eccezione”.

   

L'eccezione allora, per l'Italia che a tutta questa efficienza non è abituata, è forse quella di aver azzeccato la scelta di un ex manager capace di gestire con slancio anche la macchina pubblica (almeno quando la macchina pubblica collabora, come in questo caso). Di nominare insomma un commissario che a differenza di altri sa girare intorno agli ostacoli, sia che si tratti di chiudere in due mesi un imprevisto in cantiere, come è stato con l'amianto, sia che si tratti di non cascare in polemiche e trabocchetti. L'obiettivo guida, a rileggere gli stralci di dichiarazioni rilasciate dal 2018 a oggi è sempre stato uno: quello di portare a termine un'opera che potesse davvero ricucire lo strappo di Genova, guarendo non solo la geografia della città, che da domani potrà essere attraversata da ponente a levante guardando di nuovo dall'alto il Polcevera, ma anche gli animi dei genovesi, che cercano ancora ristoro per le 43 vittime che il crollo del ponte Morandi ha portato con sé.

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