La conferenza stampa dei grillini Alberto Airola, Luigi Di Maio, Nunzia Catalfo, Daniele Pesco alla presentazione del progetto di reddito di cittadinanza, nel dicembre 2014 (foto LaPresse)

Il peccato originale del reddito di cittadinanza

Chiara Gribaudo*

Combattere la povertà è un conto, trovare lavoro ai disoccupati un altro. La ricetta grillina è un ibrido fallimentare, e i dati del governo lo certificano. Perché il Pd non pretende discontinuità?

A scorrere le pagine del Programma nazionale di riforma, elaborato in questi giorni dal governo e collegato al Def del 2020, c’è un problema che salta subito agli occhi. Su oltre 1,2 milioni di percettori del reddito di cittadinanza, solo 330.000 hanno sottoscritto un “Patto di servizio” che li incanala, attraverso il potenziamento dei centri per l’impiego e i famosi navigator, a trovare un nuovo lavoro per uscire dalla condizione di povertà. E tutti gli altri? Cosa fanno l’80% dei percettori del Rdc? Perché percepiscono il sussidio senza doversi trovare un lavoro?

 

Alcuni saranno familiari, altri magari lavorano già ma non a sufficienza per sfamare la famiglia. Tuttavia leggendo quanti hanno trovato un lavoro, fra quelli che lo cercano, il problema emerge ancora più chiaro. Solo 65.000 ci sono riusciti e di questi solo il 18 per cento ha un contratto a tempo indeterminato. Ma allora perché continuiamo a chiamare “politica attiva” uno strumento che si occupa di trovare lavoro solo al 20 per cento dei suoi beneficiari, e lo trova (spesso senza meriti diretti) a meno del 6 per cento del totale? E’ evidente che questo modello è un fallimento completo. E ciò a causa di un peccato originale: aver voluto mischiare politiche attive e politiche di contrasto alla povertà, creando un ibrido incerto e mal funzionante. Certo, il lavoro è cittadinanza, l’ho detto chiaramente in Aula alla Camera il giorno della fiducia al primo governo Conte, il lavoro è il primo requisito per uscire da una condizione di bisogno. Ma per chi lo cerca non si possono adottare gli stessi schemi delle cause della povertà, che sono molteplici e variabili, da trattare spesso con delicatezza e individualmente.

 

Il Programma nazionale di riforma, da questo punto di vista, non può limitarsi a riportare i risultati del reddito, a proseguire il monitoraggio, a portare a compimento quella programmazione. Bisogna prendere atto che quella programmazione era sbagliata e ricominciare da capo. Il potenziamento dei centri per l'impiego (Cpi) ancora langue; le piattaforme informatiche dedicate all’incrocio di domanda e offerta di lavoro sono incagliate nella disastrosa gestione di ANPAL del suo Presidente Mimmo Parisi; per la stabilizzazione ancora assente dei precari ANPAL Servizi, suonare il campanello come sopra; idem per sapere cosa stiano facendo i navigator mentre centinaia di migliaia di italiani hanno perso il lavoro con il Covid. Sì, chi guida enti strategici ha responsabilità che non possono essere nascoste e sarebbe ora che il governo ne prendesse atto e voltasse pagina. 

Oltre alla vicenda Parisi però, un altro dato emerge con forza. Se pochi hanno trovato lavoro e la gran parte sono precari, manca una seria politica di riqualificazione dei lavoratori e di incentivo alle assunzioni stabili, con buona pace della furia distruttrice del decreto Dignità. L’assegno di ricollocazione dei governi Pd è stato demolito per regalare altre risorse al Rdc e Parisi lo ha praticamente sepolto; gli incentivi alle assunzioni dei percettori Rdc sono macchinosi e poco fruibili, tanto che nessun dato viene riportato sul loro utilizzo. In questo modo i “Patti per il lavoro” non sono percorsi per il collocamento lavorativo, ma rimangono la solita e sterile iscrizione alle liste di disoccupazione, utili allo Stato per far girare la sua burocrazia di sussidi ma che lasciano l’individuo alle prese con le solite antiche dinamiche delle conoscenze personali, quando va bene del curriculum, quando va male dell’emigrazione o del lavoro nero

Per far fronte alla crisi sociale che potrebbe montare con la crisi occupazionale da Covid-19, abbiamo bisogno di un rilancio strategico delle politiche attive del lavoro. Ma continuare a tenerle dentro il reddito di cittadinanza, insieme alle politiche di contrasto alla povertà, annulla ogni sforzo.

 

*deputata del Partito democratico