Virginia Raggi e Chiara Appendino (LaPresse)

Le impresentabili

David Allegranti

Zingaretti invita all’alleanza contro “le destre”, ma pesa l’inaffidabilità delle sindache

Roma. “Se l’obiettivo è vincere e sconfiggere le destre, faccio un appello sincero e accorato agli alleati del governo. Non ostacolate nei territori le alleanze che si potrebbero creare”, ha detto la settimana scorsa il segretario del Pd Nicola Zingaretti nell’ultima direzione nazionale. Il messaggio è rivolto – secondo le intenzioni degli architetti della “casa comune” che vorrebbero progettare un Pd a Cinque stelle – soprattutto ai grillini. Il che significa alleanza alle regionali in Puglia, in Liguria ma anche alleanza nelle grandi città che vanno al voto l’anno prossimo, Roma e Torino. C’è però un dettaglio non secondario: l’inaffidabilità delle sindache, Virginia Raggi e Chiara Appendino, che cercano una conferma a scapito anzitutto delle regole che il M5s si è dato sul limite dei due mandati nelle istituzioni.

  

Goffredo Bettini, replicando a un articolo dell’Espresso che menzionava il suo (presunto) beneplacito a un accordo con i grillini, ritiene “impossibile un sostegno del Pd alla ricandidatura dell’attuale sindaca di Roma Virginia Raggi. Non per ragioni personali o pregiudiziali, ma sulla base dei risultati negativi dell’esperienza del suo governo”. La sortita di Bettini arriva dopo varie prese di posizione, tra cui quelle di Massimiliano Smeriglio, uno dei primi a sinistra a proporre le primarie del centrosinistra a Roma per disinnescare l’eventuale appoggio del Pd a una ricandidatura di Raggi, e dei vertici locali. A Torino il “no” del Pd ad Appendino ha iniziato a farsi più consistente solo di recente. Nei giorni scorsi, durante un incontro tra parlamentari, consiglieri regionali e comunali del Pd, persino chi aveva mantenuto posizioni non ostili ai Cinque stelle e favorevoli a un bis di Appendino, come il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis, ha cambiato rotta.

  

“Il Pd ha la responsabilità di rappresentare il perno di una coalizione politica e civica ampia che sappia essere alternativa — dicono il segretario metropolitano Mimmo Carretta e il segretario regionale Paolo Furia — a chi ha deluso alla guida della città in questi anni e a una destra non credibile e inadeguata che soffia sul fuoco dei problemi senza davvero affrontarli”. D’altronde, il fardello politico di Appendino, a proposito di inaffidabilità, è sempre più pesante. La sindaca di Torino sembra avere una predilezione per scegliere collaboratori che finiscono nei guai. Lo testimoniano i casi dell’ex capo di gabinetto Paolo Giordana, costretto alle dimissioni dopo aver fatto togliere una multa da Gtt a un amico, e dell’ex portavoce Luca Pasquaretta, per il quale lo scorso 20 maggio la procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex portavoce Pasquaretta, e altre sette persone accusate, a vario titolo, di corruzione, peculato, estorsione, turbativa d’asta e traffico di influenze illecite. Non solo. Da pochi giorni, il 28 maggio, l’ex sovrintendente del Teatro Regio William Graziosi è indagato per corruzione e turbativa d’asta. Con lui è indagato anche Roberto Guenno, ex candidato del M5s alle comunali, tenore dalla carriera molto rapida (da corista sindacalista a responsabile Innovazione e sviluppo al Teatro Regio). “Mi assumo io la responsabilità, William Graziosi è la persona giusta”, diceva Appendino nel 2018.

 

La settimana scorsa anche l’ex vicesindaco di Torino ed ex assessore all’urbanistica Guido Montanari è finito sotto indagine per turbativa d’asta. Per molto meno, a parti invertite (se ci fossero vari esponenti del Pd sotto indagine), Alessandro Di Battista sarebbe in piazza con i manifesti della “piovra del Pd” e il Sacro Blog avrebbe maramaldeggiato sull’“indagato del giorno”. Per tutti loro – Giordana, Pasquaretta, Graziosi, Montanari – ha garantito Appendino. Il Pd torinese, che è riuscito per ora a opporre resistenza alle indicazioni del Pd nazionale sulle alleanza nei territori, teme che le cose potrebbero cambiare qualora nascesse davvero il partito di Conte o se Conte diventasse il capo del M5s.

 

La scissione dei Cinque stelle imporrebbe una scelta di campo ad Appendino (ma anche a Raggi), che proprio di recente ha preso tempo sulla sua ricandidatura dicendo che deciderà dopo l’estate. Questo avrebbe una ricaduta sulle scelte del Pd a Torino. Una parte dei Democratici vorrebbe fare le primarie, un’altra no, scegliendo direttamente un candidato civico in grado di prendere i voti grillini (la vecchia idea del rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco). Il che significa che se Appendino non ci fosse, sarebbe più facile tornare a proporre l’alleanza con i populisti. Ma questo a Torino si preferisce non dirlo per non dare idee al Pd romano.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.