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Il fastidio di Guerini e dei suoi per la “tonnara di Ciampino” su Silvia Romano

David Allegranti

La corsa del M5s per la foto all'aeroporto e l’assenza del ministro della Difesa: il Pd non sopporta più le sceneggiate

Roma. “E poi c’è lo stile di Lorenzo Guerini”, twitta Filippo Sensi, sottolineando il distacco del ministro della Difesa dalla gara di photo opportunity nel governo per la liberazione di Silvia Romano. Guerini era assente a Ciampino, domenica, mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio duellavano per il posizionamento tattico-mediatico migliore. Non è soltanto questione di eleganza istituzionale, quella sottolineata dal ministro, ma di sostanza politica. Una distanza che contiene tutte le perplessità e l’insofferenza di Base riformista, la corrente di cui Guerini è a capo insieme a Luca Lotti, nei confronti del M5s, alleato di governo. “Essendo coinvolto il servizio di intelligence esterna e dunque militare, Guerini è il ministro controllore. E infatti Conte nella sua conferenza stampa lo ha ringraziato esplicitamente. Quindi avrebbe avuto pieno titolo a essere anche lui nella ‘tonnara di Ciampino’, ma ha scelto un altro stile”, dicono da Base riformista. 

 


Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini (foto LaPresse)


 

“Una differenza molto netta rispetto al M5s e molto apprezzata dal Pd, questa mossa di Guerini”. Ma c’è anche un fronte interno, che riguarda il Pd e la sua comunicazione. Domenica circolava sui canali social di ministri ed esponenti della segreteria di Zingaretti – dalla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli al responsabile Lavoro Marco Miccoli – la foto della giovane cooperante con il logo del Pd. “Mettere il simbolo del partito non è un bel segnale. Non era meglio una foto e basta? Spiegami l’utilità di mettere il simbolo”, dice l’ex senatore del Pd Stefano Pedica sulla bacheca Facebook di Miccoli. Se l’avesse fatto la Lega sarebbe cascato il mondo. Anche questa, negli ambienti politici vicini a Guerini, è stata vista come una mancanza di stile, volendo proseguire con l’immagine di Filippo Sensi. Ma ancora una volta lo stile è sostanza. Anche perché i canali ufficiali del Pd hanno prontamente retwittato il ringraziamento di De Micheli per “tutte le persone che in questi mesi hanno lavorato in silenzio, lontano dal clamore, per farla tornare in Italia”. Peccato però che quel clamore abbia poi accolto il ritorno di Silvia Romano non solo con la foto marchiata Pd ma anche con la “tonnara di Ciampino”, i tweet di Conte per bruciare il suo ministro degli Esteri e la foto-omaggio a beneficio della propaganda islamista: “Era proprio necessario far scendere l’ostaggio a favore di telecamere? Pare che alla Farnesina e all’Aise nessuno abbia letto i documenti sui rapporti fra media e gruppi islamisti”, osserva Pasquale Annicchino.

 

Il responsabile comunicazione del Pd Marco Furfaro, coordinatore nazionale di Futura, l’associazione di Laura Boldrini, viene anche criticato nel Pd per “il tono minoritario e gruppettaro” assunto in questi mesi dalla comunicazione dei democratici: “Siamo il Pd, non una corrente di Sel. “Siamo un partito ampio, plurale, stabilmente sopra al 20 per cento, rappresentiamo tutti le diverse declinazioni della sinistra italiana e siamo al governo. Perché dobbiamo avere una comunicazione social da gruppettari minoritari anni Settanta?”, dice un autorevole esponente del Pd vicino a Lorenzo Guerini. E siccome la politica è stile ma anche sostanza, un conto è fare comunicazione per Sel, un conto è farla per il Pd. Insomma per Base riformista i motivi di disappunto sono parecchi. Nei confronti del governo, come si capisce non solo per il “caso Ciampino” ma anche dal duello sulla riapertura sportiva fra l’ex ministro dello Sport Lotti e l’attuale ministro Vincenzo Spadafora. Ma pure nei confronti del Pd, dove tira la famosa aria sovietizzante descritta dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori. D’altronde, la “questione riformista” nel Pd è centrale. Dopo l’addio di Matteo Renzi, per mesi nel Pd gli ex renziani rimasti si sono interrogati sul da farsi; su come fare per non disperdere il patrimonio riformista. Il problema è che manca una leadership politica. Guerini dovrebbe rinunciare allo stile istituzionale per uno adatto all’agone politico, ma forse non è nemmeno nella sua indole.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.