L'Emilia-Romagna spiegata a chi non la vuole capire
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Dal punto di vista politico, le elezioni in Emilia-Romagna hanno dimostrato una verità difficile da negare e la vittoria di Stefano Bonaccini su Lucia Borgonzoni ha rappresentato la prova provata della non invincibilità dell’invincibile Salvini. Il modello dell’Emilia-Romagna meriterebbe però di essere approfondito da parte di coloro che sognano di creare un’alternativa credibile al modello del nazionalismo salviniano. E se si ha la pazienza di concentrarsi meno sui dettagli e più sulla ciccia del modello emiliano (e minuscola) si avrà la capacità di comprendere che per ripetere su scala nazionale quello che è successo su scala regionale occorre imparare rapidamente alcune lezioni offerte dalla campagna elettorale appena conclusa. Dal punto di vista politico, il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che ha avuto il merito di rivitalizzare un Pd sulla cui vitalità in pochi avrebbero scommesso fino a pochi giorni fa, dovrebbe valutare con attenzione se sia opportuno o no replicare su scala regionale un modello opposto rispetto a quello vincente osservato in Emilia-Romagna (alleanza con il M5s dove si vuoi). E non può essere sfuggito alla classe dirigente del Pd che la vittoria di Stefano Bonaccini è maturata perché il centrosinistra in Emilia-Romagna è andato da solo e non ha avuto bisogno di allearsi con i candidati grillini per conquistare i voti degli elettori a cinque stelle. In seconda battuta, poi, la seconda lezione politica che si può trarre dal voto in Emilia-Romagna è che, come testimonia il discreto successo della lista Bonaccini all’interno della quale vi erano anche i candidati del partito di Matteo Renzi e del partito di Carlo Calenda, coloro che desiderano offrire al Pd una gamba diversa rispetto a quella grillina dovrebbero smetterla di azzuffarsi tra loro e dovrebbero tentare in tutti i modi di ripetere l’esperimento della lista unica sia alle prossime elezioni regionali sia alle prossime elezioni nazionali (un nome possibile di una donna ci sarebbe, per federare le liste, ma ne parleremo con calma).
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- Claudio Cerasa Direttore
Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.