Migranti: l'arrivo della Alan Kurdi nel porto di Taranto

I giudici scagionano Salvini su Alan Kurdi con un pasticcio giuridico (e un copia-incolla)

Luca Gambardella

Articoli di legge sbagliati, supposizioni, interpretazioni del diritto, copiature. Il Tribunale dei ministri trova l'escamotage per archiviare tutto. In barba alle norme internazionali

Roma. “Salvini scagionato”, titolava mercoledì un articolo del Corriere della sera sulle motivazioni con cui il Tribunale dei ministri ha archiviato le indagini a carico dell’ex ministro dell’Interno sul caso della nave umanitaria Alan Kurdi. Ma la notizia davvero clamorosa era nella seconda parte del titolo: “Le ong sbarchino nel loro paese”, avrebbero sentenziato i giudici di Roma. “Finalmente un po’ di buonsenso”, ha twittato raggiante Salvini, che lo scorso aprile, per 20 giorni, aveva trattenuto 62 migranti salvati in acque internazionali a bordo della nave.

   

Le cose in realtà sono un po’ più complesse di come le ha raccontate il Corriere e le motivazioni, contraddittorie nelle loro conclusioni, non dicono esattamente che debba essere lo stato di bandiera ad accogliere i migranti salvati dalle ong. Per i giudici, sia il ministro sia il capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, non sono perseguibili per i reati contestati di omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio. Per motivare la decisione, il tribunale afferma che la responsabilità di coordinare i salvataggi compiuti da navi private spetta al “paese di primo contatto”, che – nei casi in cui nessuno prenda in carico le operazioni – sarebbe lo stato di bandiera. Una vera bomba, insomma: se un’imbarcazione umanitaria batte bandiera tedesca e Italia o Libia rifiutano di intervenire, le autorità competenti a gestire i salvataggi (che non significa necessariamente fornire un porto sicuro) sarebbero quelle della Germania. In sostanza, il tribunale sostiene, nemmeno troppo velatamente, quello che la Lega e gli altri fan dei respingimenti ripetono da tempo (“Li accolga la Norvegia”, diceva Salvini riferendosi alla Ocean Viking). Verrebbe da chiedersi come abbiano fatto i giudici ad arrivare a conclusioni tanto sensazionali. Un dubbio lecito, dato che in questo passaggio chiave delle motivazioni non si fa riferimento a una norma specifica.

 

Il tribunale spiega che le convenzioni di Amburgo, quella Unclos e la Solas dettano norme chiare per quanto riguarda i salvataggi compiuti dalle navi militari. Ma lamentano l’assenza di “indicazioni chiare e di portata precettiva” per quanto riguarda le operazioni compiute dalle navi ong e mercantili. Per questo il tribunale dice che occorre seguire “alla lettera” la convenzione di Amburgo. Non fosse altro che – incredibilmente, verrebbe da dire – gli articoli citati per indicare chi dovrebbe fornire il porto sicuro (cioè il Pos, l’acronimo di place of safety) alle navi delle ong parlano di tutt’altro: si menzionano il 3.1.3 e il 3.1.4 che però non si occupano di Sar, né tanto meno di Pos. I due articoli citati trattano di un caso totalmente diverso, cioè della richiesta che lo stato deve formulare per entrare nelle acque territoriali di un paese terzo per compiere salvataggi.

 

Ma non è finita qui. Il passaggio più delicato della sentenza del Tribunale dei ministri, quello che fa riferimento al famigerato "stato di primo contatto" sembra essere ripreso alla virgola da un paper del 2014, come ha scoperto il ricercatore dell'Ispi Matteo Villa. Lo studio originario è stato elaborato da un gruppo di studio, il "Progetto Lampedusa", Scuola Superiore dell'Avvocatura.  

  

   

“Le Convenzioni internazionali di diritto del mare sono state ratificate anche dall’Italia, con leggi dello stato e non possono essere ridotte al rango di soft law, come se contenessero solo norme di indirizzo e gli stati ne potessero decidere discrezionalmente l’applicazione o la disapplicazione”, ha commentato l’avvocato ed esperto di immigrazione Fulvio Vassallo Paleologo.

   

Entro pochi giorni si attende la decisione della procura di Palermo su un caso analogo, ma che riguarda un’altra nave umanitaria, quella di Open Arms. In quel caso i reati ipotizzati a carico di Salvini sono di omissione d’atti d’ufficio e sequestro di persona. E anche in quell’occasione, il “buonsenso” dell’ex ministro sarà sottoposto a un nuovo banco di prova.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.