Joseph Mifsud (foto LaPresse)

Sulle tracce di Mifsud

Luciano Capone

Il Foglio ha seguito il professore del Russiagate attraverso la sua carta di credito: era in Italia fino al 2018. Spy story tra Vanzina e Le Carrè

Uno se lo immagina nascosto in qualche covo, magari sotto protezione di qualcuno, ma sicuramente senza molta libertà di movimento. E invece lui girava liberamente, sembra senza molte preoccupazioni. Ostia, Orbetello, lago di Bracciano, San Gimignano e anche il parco dei mostri di Bomarzo. Mentre tutto il mondo lo cerca – dall’Fbi ai russi, passando per la Corte dei conti – senza che nessuno riesca a trovarlo, il professore se ne sta tranquillamente in vacanza in giro per l’Italia centrale. A meno che qualcuno non l’abbia già trovato e non lo stia proteggendo. Joseph Mifsud è una delle figure più importanti del Russiagate, occupa un ruolo chiave nel rapporto Mueller sulle interferenze russe nelle elezioni americane, tanto da far scomodare il ministro della Giustizia americano William Barr, venuto in Italia proprio per saperne di più sul suo conto. Nei sui due incontri a Roma con i vertici della nostra intelligence, il 15 agosto con il direttore del Dis Gennaro Vecchione, e il 27 settembre anche con i direttori dell’Aise Luciano Carta e dell’Aisi Mario Parente, Barr vuole sapere dove diavolo è finito questo professore scomparso nel nulla da ormai due anni. Ma noi non lo sappiamo. Almeno questo è ciò che dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha la delega ai servizi e che ha gestito gli incontri con gli americani. “Sono state richieste informazioni, ormai è noto, su Mifsud, questo professore maltese”, ha detto Conte in conferenza stampa, dopo aver parlato al Copasir. “E’ stato chiarito che noi non avevamo informazioni e che siamo estranei a qualsiasi coinvolgimento”. 

 

Nessuno sembra saperne nulla, ma il Foglio sa qualcosa in più. Almeno fino all’ottobre 2018, ovvero un anno dopo la sua scomparsa, Joseph Mifsud ha vissuto in Italia. A dircelo sono i movimenti di una sua carta di credito inglese, documenti che il Foglio ha potuto consultare, e che mostrano i suoi movimenti fisici da luglio a ottobre 2018. Le transazioni economiche non sembrano descrivere la condizione di un ricercato o di una persona che teme per la sua incolumità, ma quelle di un uomo in vacanza. Il 2 luglio 2018 Mifsud è al mare in Maremma, in un campeggio ad Albinia, una frazione di Orbetello. Nei giorni successivi si sposta in autostrada da Roma verso Firenze, poi verso Tarquinia. Il 18 luglio paga un hotel su Booking. Il 19 luglio paga l’autostrada in Abruzzo, in provincia dell’Aquila (Magliano de’ Marsi-Cocullo). Il 21 luglio è di nuovo in Toscana, in un ristorante a San Gimignano dove, dal conto, sembra pagare per almeno due persone (95,27 euro) e la sera a Siena. Il giorno successivo mangia in una trattoria sul lago di Bracciano e quello dopo, il 23 luglio, paga un hotel su Booking. Ad agosto è molto più presente a Roma, dove fa rifornimento, e dalle spese autostradali si vede che si spinge a Tivoli, Fregene e Orvieto. A settembre Mifsud passa molto tempo a Roma, fa la spesa in due supermercati che potrebbero indicare un suo domicilio nella zona della Pisana. Il 6 settembre paga un parcheggio a Fiumicino, probabilmente all’aeroporto, ma non mancano ristoranti a Ostia (29 settembre, conto da 111 euro) e una trasferta, il 30 settembre, in Abruzzo: da Roma all’Aquila e poi da Assergi a Pescara, passando per Giulianova, prima di ritornare a Roma. A ottobre il professore maltese va di nuovo in Abruzzo (Popoli-Pesscara) e il 16 passa una giornata in compagnia (biglietti per due) al Sacro bosco di Bomarzo, la fantastica creazione cinquecentesca voluta da Vicino Orsini. 


 

Se fino a ottobre è a Roma – l’ultimo movimento che compare dai documenti bancari visionati il Foglio è il ritorno, il 18 ottobre, da un viaggio in autostrada a Pescara – vuol dire che per l’intero anno della sua clandestinità, e probabilmente tutt’ora, Mifsud vive in Italia. Il professore maltese scompare quando il mondo viene a sapere che “The Professor” del Russiagate – l’uomo che ha messo in contatto il consigliere di Donald Trump, George Papadopoulos, con uomini vicini al Cremlino e che gli ha rivelato che il governo russo era in possesso di “migliaia di mail” imbarazzanti (“dirt”) di Hillary Clinton – è lui: Jospeh Mifsud. E’ il 31 ottobre 2017 e lui è alla Link Campus, l’università presieduta da Vincenzo Scotti che all’epoca formava e sfornava la classe dirigente del M5s, di cui Mifsud è professore e coordinatore (“programme leader”) del corso di laurea in Scienze della Politica e dei Rapporti internazionali. A intervistarlo c’è un giornalista di Repubblica, ma Mifusd nega tutto: “Non ne so nulla. Escludo assolutamente di aver parlato di segreti riguardanti Hillary. Giuro su mia figlia”. E il giorno dopo scompare nel nulla: non risponde più alle mail, non risponde più al telefono. Tutte le organizzazioni di cui fa parte iniziano a prendere le distanze, a partire dalla Link Campus, che rimuovono dal sito il suo nome e tutte le attività che lo riguardano. “Mifsud chi?”. Nessuno sembra più conoscere il protagonista di questo intreccio internazionale, che come molti grandi intrighi che riguardano l’Italia ha sempre dei tratti farseschi. E’ infatti una spy-story all’amatriciana, a metà strada tra Le Carrè e i fratelli Vanzina, che ha come protagonista un professore che è anche direttore di un’accademia di diplomazia, ma che non è né un vero professore né un vero diplomatico. Perché “Joe”, come lo chiamavano affettuosamente gli amici, è una specie di facilitatore, un uomo di relazioni, senza particolari qualità se non quella di destreggiarsi nel sottobosco dell’accademia e della diplomazia mettendo in contatto persone di mondi diversi. “Un grande networker”, lo definì al Foglio il senatore del Pd Gianni Pittella, che lo conosceva bene: “Non si faceva sentire per mesi e mesi e poi ricompariva per proporre convegni sulla pace, sul Mediterraneo, iniziative sulla politica estera”.

Oltre al Mediterraneo e alla pace nel mondo, due interessi di Mifsud sono le donne e i soldi. Come ben ricostruito da Repubblica, Mifsud passa da un incarico universitario all’altro lasciandosi dietro dei buchi enormi. Parte dall’Università di Malta, dove è lecturer, e da dove viene allontanato per essersi creato un piccolo fondo per le spese internazionali. Da lì segue la genesi della Link Campus, che nasce come filiazione dell’università di Malta: “Scotti è la persona che tanto tempo fa è venuta da me per cercare di aprire questa filiazione dell’Università di Malta a Roma. Abbiamo link molto forti”, ebbe a dire in un convegno del 2017 alla Link. L’università di Scotti, nata anche grazie all’impegno del presidente italiano Francesco Cossiga e del presidente maltese Guido De Marco, che ben presto diventa un punto di incontro di pezzi della politica, della diplomazia e del mondo dell’intelligence, è il posto perfetto per Joe. E in effetti Mifsud segue dall’inizio la Link, di cui è responsabile delle relazioni internazionali, almeno fino al 2008, quando viene scelto per guidare in Slovenia l’Emuni (Euro-Mediterranean University of Slovenia), un progetto dell’Unione per il Mediterraneo che non decollerà mai e da cui Mifsud viene allontanato lasciandosi alle spalle un debito di quasi 40 mila euro di note spese. Da lì, forte dei suoi agganci più che dei suoi risultati, nel 2009 riesce a farsi nominare presidente del Consorzio universitario di Agrigento. Anche qui lascia il segno per le sue spese disinvolte: lo scorso anno la Corte dei conti lo ha condannato in contumacia, perché era già sparito, a restituire 50 mila euro. Ma neppure la magistratura contabile riesce a trovarlo. 

 

Nessun problema per Mifsud, che dopo l’esperienza agrigentina ritorna in grande stile alla Link Campus dell’amico “Enzo”, con cui aveva sempre mantenuto ottimi rapporti. Alla Link, “Joe” diventa il responsabile dell’internazionalizzazione dell’università e in breve tempo riesce a concludere accordi e attirare investitori per far fare il grande salto alla piccola università privata romana. Nell’ottobre 2016 la Link annuncia un doppio successo: un partner strategico internazionale e un accordo con la principale università russa. Mifsud porta da Scotti un suo amico Stephan Roh, un avvocato svizzero-tedesco con moglie russa e diversi interessi a Mosca. Roh, attraverso una sua società, acquista il 5 per cento della società di gestione della Link, mettendo 250 mila euro, ma con in mente un progetto più ambizioso: far salire il capitale dell’università fino a 50 milioni e poi quotarla in Borsa. Quasi contemporaneamente, grazie ai suoi ottimi legami in Russia, Mifsud promuove un accordo tra la piccola Link Campus e la Lomonosov Moscow State University: alla firma dell’accordo a Mosca, l’8 ottobre 2016, nella delegazione della Link insieme a Scotti e Franco Frattini, l’ex ministro degli Esteri anch’egli professore alla Link, c’era anche un sorridente Joe (anche se dopo lo scandalo del Russiagate Scotti, in maniera un po’ ingrata, negherà il ruolo di Mifsud nell’accordo con la Lomonosov). Ma non finisce qui, perché Mifsud riesce a far firmare alla Link un altro importante accordo, stavolta con la prestigiosa London School of Economics: alla firma, il 20 marzo 2017 a Roma, a fianco a Scotti e Frattini c’è sempre Joe (anche se pure in questo caso, dopo lo scandalo, Frattini negherà di aver mai visto Mifsud alla Link Campus). Infine, l’8 maggio del 2017, Mifsud raggiunge un altro importante obiettivo: sempre grazie alle sue relazioni, la Link firma una partnership con la Edof, una fondazione che appartiene alla ricca famiglia saudita Obaid, che fa nascere nell’ateneo romano il “Centre for War and Peace Studies”, al cui vertice Scotti e Nawaf Obaid decideranno di mettere proprio Joe: “Il professor Joseph Mifsud sarà nominato Founding director del centro per un periodo di tre anni”, dice il comunicato. Grazie a questi ottimi risultati, Mifsud viene premiato dalla Link con l’incarico di coordinatore del corso di Laurea in Relazioni internazionali. Sta andando tutto alla grande, eppure sta tutto per crollare (ma lo vedremo in seguito).

Dicevamo che oltre ai soldi il suo debole sono le donne. Nei mesi successivi alla sua scomparsa il giornale americano BuzzFeed scopre che Mifsud ha una giovane fidanzata ucraina, che non lo vede da mesi. Quando il professore scompare, la donna era incinta di lui. E nel frattempo il bambino è nato, ma del padre nessuna traccia. L’ultimo contatto è un messaggio WhatsApp del 31 ottobre 2017, quando diventa di dominio pubblico la notizia del suo coinvolgimento, in cui Mifsud dice alla fidanzata di “non rispondere” ai giornalisti. Da lì in poi sarà lui a non risponderle più. Mifsud ha già un’altra figlia, oggi maggiorenne, e un’ex moglie che però – come racconta Repubblica – non sa e non vuole sapere più nulla di lui, dopo che Joe ai primi anni del 2000 se n’è andato per seguire la sua vita da mezzo-professore e pseudo-diplomatico tra Londra, Roma e Mosca.

 

Nella sua nuova vita Mifsud dirige centri che non si sa bene di cosa si occupino, come la London Academy of Diplomacy o il London Centre of International Law Practice, e si circonda sempre di belle e giovani donne. E una, Olga Polonskaya, è anche una protagonista divenuta famosa nel Russiagate come la falsa “nipote di Putin”. Si tratta di una studentessa della Link Campus, con cui Mifsud – secondo le fonti del Foglio – aveva un legame molto stretto, nel senso che vivevano nello stesso appartamento a Roma e facevano le vacanze insieme. Circa due settimane dopo aver conosciuto il 12 marzo 2016 George Papadopoulos alla Link Campus, Mifsud vola a Londra per incontrare il consigliere di Donald Trump e porta con sé Olga, presentandola come la “nipote di Putin”, ovvero una in grado di metterlo in contatto con il Cremlino e di presentargli l’ambasciatore russo a Londra. In questa gara a chi la spara più grossa, dopo l’incontro Papadopoulos scrive una mail ai suoi capi a Washington: “Sono appena stato a pranzo con un mio amico, Joseph Mifsud, che mi ha presentato sia la nipote di Putin sia l’ambasciatore a Londra, che agisce anche da viceministro degli Esteri”. E poi aggiunge che “Putin è pronto per incontrare Trump”. Naturalmente è tutto falso: la ragazza che aveva appena conosciuto non era la nipote di Putin, Papadopoulos non aveva incontrato l’ambasciatore russo a Londra, che a sua volta non era viceministro degli Esteri.

 

Ma in questo ambiente di millantatori capita, tra mille storie gonfiate e false soffiate, di passare un’informazione giusta. Così, mentre i contatti proseguono e vengono presentati anche personalità russe vicino al Cremlino, il 26 aprile 2016 di ritorno dalla Russia – dove ha partecipato al Valdai Club, il ritrovo dell’establishment putiniano dove ha incontrato ufficiali di alto livello del governo russo – Mifsud incontra Papadopoulos a colazione in un hotel a Londra e gli trasmette l’informazione che arriva da Mosca: i russi hanno migliaia di email della Clinton. Pochi giorni dopo, il 6 maggio 2016, su invito di un suo amico per un aperitivo, Papadopoulos incontra in un wine bar l’ambasciatore australiano a Londra Alexander Downer a cui, dopo qualche drink, riferisce che i russi potrebbero aiutare la campagna elettorale di Trump rilasciando informazioni che possono danneggiare la Clinton. Così, quando a fine luglio WikiLeaks pubblica le mail della Clinton e dei democratici hackerate dai russi, l’australiano Downer va a raccontare tutto all’Fbi. E così parte l’inchiesta sul Russiagate.

Quando, dopo un anno di indagini, salta fuori il suo nome e sparisce nel nulla, Mifsud è rincorso dalle fidanzate, dai debiti, dall’Fbi, dai russi e adesso anche dal ministro della Giustizia americano William Bar, che è il capo dell’Fbi ma che sta facendo un’indagine contro l’Fbi. Trump vuol far passare la tesi che il Russiagate sia stato un complotto internazionale del “deep state” americano e dei servizi occidentali per danneggiare la sua immagine qualora fosse stato eletto. Secondo questa teoria Mifsud non sarebbe più un agente russo, ma un agente occidentale legato all’Fbi che si sarebbe finto russo per incastrare Papadopoulos e con lui Trump. E così Barr gira per il mondo cercando prove a supporto di questa tesi che servirà alla campagna elettorale di Trump contro i democratici. Magari con la speranza di acciuffare Mifsud, che sembra proprio uno di quei personaggi che in una storia del genere potrebbe affermare qualsiasi cosa e recitare qualunque parte in commedia. Così l’attorney general Barr ha chiesto la collaborazione dell’Australia, per sapere se anche l’ambasciatore Downer ha fatto parte di questo complotto, e all’Italia. Il premier australiano, Scott Morrison, ha individuato nella segretaria del Dipartimento agli affari esteri, Frances Adamson, il giusto interlocutore per l’inchiesta di Barr. Mentre il premier italiano Conte ha fatto incontrare due volte l’attorney general Barr direttamente con la nostra intelligence, senza un’interfaccia politica, per dire agli americani che noi non c’entriamo nulla e che non sappiamo niente, né su Mifsud né su altri.

Eppure da Washington arrivano indicazioni di segno opposto, che un po’ cozzano con la versione di Conte. L’indagine amministrativa finora condotta da Barr diventa un’inchiesta penale affidata a un procuratore che avrà il potere di convocare testimoni, indagare e incriminare cittadini americani e anche stranieri. Secondo Fox News, emittente molto vicina a Trump, il salto di qualità deriverebbe proprio dai viaggi in Italia: “Durante una delle due visite effettuate a Roma, Barr e il procuratore John Durham hanno raccolto nuove prove per la loro contro-inchiesta sul Russiagate”.

In un contesto del genere, ricercato da fidanzate, creditori, servizi segreti e governi, verrebbe da pensare che Joseph Mifsud abbia passato questi ultimi due anni rinchiuso in una località segreta, magari con un’altra identità. E invece no. Almeno fino a ottobre 2018, quando ancora il procuratore speciale Robert Mueller indagava sulle interferenze russe (il report finale verrà pubblicato a marzo 2019), la vita di Joseph Mifsud scorreva tranquilla. In un articolo del 18 aprile 2019, il Foglio ha rivelato che Mifsud, almeno fino a maggio 2018 (questo confermava chi vive nel palazzo), si è nascosto ai Parioli, in un appartamento in via Cimarosa pagato dalla Link Campus attraverso una società, la Link International, di cui Mifsud è tuttora socio al 35 per cento. L’ultimo avvistamento risale al 21 maggio 2018, in una foto nello studio legale a Zurigo di Stephan Roh, il socio della Link che nel frattempo è diventato avvocato di Mifsud. Ora scopriamo che da luglio a ottobre, mentre il mondo lo cercava, Mifsud evidentemente con l’aiuto di qualcuno ha girato tranquillamente per l’Italia facendo base a Roma: Toscana, Umbria, Abruzzo, mare e montagna, ristoranti e campeggi, laghi e giardini. Il presidente del Consiglio afferma di aver detto a William Barr che i servizi segreti italiani non hanno alcuna informazione su Mifsud. Viene da sperare Conte che abbia mentito in conferenza stampa o agli americani, perché se davvero la nostra intelligence non sa nulla dei movimenti di Mifsud e di dove possa essere sarebbe molto più preoccupante. Più Vanzina che Le Carré.

Aggiornamento: Mifsud ha vissuto a Roma nell'appartamento ai Parioli fino a maggio 2018. Nella versione precedente, per un refuso, era riportato "fino a maggio 2019".

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali