Marco Pannella (Foto LaPresse)

Lo zen radicale del maestro Joshu (o di Marco?) per risolvere la crisi

Guido Vitiello

La dottrina Pannella 1992-1993 per un parlamento libero

"Qualcuno chiese: ‘Quando ci si trova di fronte al disastro, come evitarlo?’. Joshu disse: ‘Eccolo!’”. Se nel mezzo di questo ciclone politico mi aggrappo alla raccolta dei detti del monaco cinese Joshu, il più pazzotico, paradossale e intrattabile dei maestri zen, non è certo per trovare quiete nell’occhio impassibile del vortice – il massimo a cui posso ambire è un’ilarità isterica da festino in tempo di peste – ma perché quando salta ogni criterio razionale, quando le certezze più solide si dissolvono nell’aria, quando anche solo le parole “logica” e “coerenza” ci si disfano in bocca come funghi ammuffiti, ecco che si schiude un terreno propizio per l’illuminazione.

 

La politica italiana ha avuto il suo maestro Joshu, si chiamava Marco Pannella, ed è una felice coincidenza che i detti di quel monaco vissuto in Cina milleduecento anni fa siano stati pubblicati sul finire degli anni Settanta con il titolo “Zen radicale”. Così, da bravo novizio, non potendo più rivolgermi né al maestro cinese né al maestro abruzzese, mi sono messo alla scuola di due monaci che hanno avuto la fortuna di meditare a lungo all’ombra del Grande Giacinto. Entrambi, in anni più o meno lontani, pur interpretando in modi molto diversi il cammino sulla via pannelliana alla liberazione politica, sono stati segretari del monastero di Torre Argentina. Riporto i due dialoghi sotto forma di storielle zen, sperando che anche il lettore ne riceva illuminazione.

 

Il 25 agosto, ai tanti che lo visitavano nel suo giardino digitale circondato dai cinguettii, il monaco Marco Cappato ha detto: “Un Parlamento composto da tante persone certe di non essere rielette è un Parlamento paradossalmente più libero, ad esempio di disobbedire a capi e capetti”. E io, il novizio: “E’ la dottrina Pannella 1992-1993”. Cappato mi ha risposto così: “Allora erano perseguitati dalle inchieste. Ora sono perseguitati dai sondaggi e dai social”. Il dialogo richiede una nota di commento (decifrare Pannella a volte era come tradurre una lingua orientale antica, e il più dotto di tutti, il monaco Bordin, non c’è più). Quando la gru da demolizione di Borrelli e Di Pietro buttò giù templi partitici che sembravano incrollabili, i parlamentari poterono voltarsi e scoprire dietro di sé, con un terrore da ubriachi, il vuoto. Per questo motivo, diceva Pannella con ragionamento che in quel clima infame sembrava una provocazione da bastian contrario e che col senno di poi, invece, suona limpidissimo, l’assemblea che tutti oltraggiavano come Parlamento degli inquisiti era in realtà il Parlamento più libero della storia della Repubblica, dove deputati e senatori avevano l’occasione di diventare finalmente ciò che erano, o avrebbero dovuto essere secondo Costituzione: rappresentanti della Nazione che esercitano le proprie funzioni senza vincolo di mandato. Non si può dire che colsero l’occasione allora, non si può dire che la stiano cogliendo oggi. Ma se osassero spegnere per qualche istante il chiacchiericcio interiore ed esteriore dei social e dei sondaggi, che li rende schiavi, potrebbero averne qualche lampo liberatorio.

 

Due giorni dopo, sempre più turbato dal caos di questa crisi schizofrenica d’agosto, sempre più bisognoso di ritrovare la pace, sono andato in visita da un altro monaco pannelliano, Vittorio Pezzuto. “Questi ci vogliono mandare al manicomio”, gli ho detto, esasperato. Ma ero cieco, come spesso sono i novizi. “Un effetto”, mi ha risposto saggiamente Pezzuto, “lo stanno producendo: confondere allo sfinimento i tifosi della propria squadra, conducendoli per disperazione a un centimetro dal ragionamento autonomo”. Caspita, ho pensato, è proprio così. Ed è la dottrina Pannella 1992-1993 applicata non già agli eletti ma agli elettori, sui quali tuttavia sembra avere più presa: da qualche giorno, dopo anni di guerre di religione, si ricomincia a ragionare di politica. Certo, le tifoserie organizzate resistono, con i loro riflessi condizionati e le loro puntigliose ossessioni, ma ora che tutti sono intrecciati a tutti – un’eterna ghirlanda brillante dove il Pd è stato con Berlusconi che è stato con Salvini che è stato con Di Maio che sta con il Pd – nessuno può più dirsi radicalmente estraneo all’altro, nessuno può più rivendicare la propria superiorità e purezza.

 

E anche su questo, tra i detti di quel cinese scorbutico dell’ottavo secolo si può trovare qualche parola illuminante: “Un monaco chiese: ‘Essere santi, com’è?’. Joshu disse: ‘Scaricare una montagna di merda sulla terra pulita’. Il monaco disse: ‘Maestro, rendetemelo più chiaro’. Joshu disse: ‘Smettila di rompermi le scatole’”. Namasté.