Polizia schierata durante una manifestazione di CasaPound (fotoLaPresse)

La polizia vittima di due cortocircuiti

Salvatore Merlo

L'alleanza tra Repubblica e il Truce. Marciare separati per colpire uniti l’immagine e l’affidabilità democratica delle forze dell'ordine

I maggiori sindacati della polizia sono preoccupati per quanto accade nelle piazze e nell’ubriachissimo dibattito pubblico italiano che, in questi giorni di campagna elettorale, in televisione, sui social e sui giornali, fa emergere un inquietante clima da stadio in cui la polizia è tirata da una parte e dall’altra. Accusata addirittura di difendere i fascisti e di picchiare gli antifascisti democratici. “La terzietà dell’amministrazione della  polizia di stato è il presupposto fondamentale in una democrazia  affinché il cittadino riconosca in quella funzione una garanzia ai  propri diritti”, dice Felice Romano, il segretario del sindacato più grande, il Siulp. E se questa terzietà oggi è messa in dubbio da alcuni – ieri bastava leggere Repubblica o su Twitter Gad Lerner – questo è dovuto all’incrocio di due giganteschi e pericolosi cortocircuiti.

 

Il primo, senza precedenti, è quello innescato da Matteo Salvini che con assoluta spregiudicatezza fa contemporaneamente l’agitatore di popolo e il ministro dell’Interno. Come dice Marco Minniti, che ha guidato il Viminale prima del segretario leghista, “il ministro dell’Interno non dovrebbe mai fare comizi. E non dovrebbe nemmeno indossare divise della polizia, perché finisce che così facendo in realtà è lui a mettere la divisa del suo partito addosso alla polizia. E la danneggia”. Ne mina la terzietà. Fa nascere sospetti che sarebbero altrimenti ingiustificati, come dicono anche i sindacati della polizia di stato. “Siamo alle prese con un ministro sui generis”, sostiene infatti con ironia Daniele Tissone, il segretario del Silp.

 

Ma c’è anche un secondo cortocircuito. Quello innescato dalla sinistra, che con altrettanta incurante spregiudicatezza utilizza l’argomento retorico dell’antifascismo contro Salvini, e dunque, di riflesso, anche contro la polizia. Che si trova in mezzo. Un corpo dello stato le cui funzioni, la cui professionalità e lealtà democratica alla fine nessuno rispetta. Né il governo né l’opposizione. Domenica scorsa a Firenze alcuni manifestanti avevano provato a forzare un blocco di polizia per andare a contestare la piazza che raccoglieva i sostenitori di Salvini giunti ad ascoltarlo. La polizia ha caricato e respinto l’assalto. Ed è stata criticata: “Cilena”. Ma se le due piazze si fossero incontrate e scontrate, che sarebbe successo? Allo stesso modo, giovedì, a Genova, una manifestazione di estrema sinistra ha tentato di forzare i cordoni di polizia per raggiungere una manifestazione di CasaPound. Durante la carica, nella confusione, gli agenti hanno ferito anche un giornalista di Repubblica, Stefano Origone. E per questo il questore di Genova ha chiesto scusa.

 

L’errore è grave, e non dovrebbe mai accadere che persone inermi e a terra, che siano giornalisti o no, vengano brutalmente manganellate. Ma forse è grave, cioè molto sbagliato, anche il voler far pensare che in Italia i giornalisti di Repubblica vengano picchiati dalla polizia in quanto giornalisti di Repubblica, e non per incidente, cioè perché hanno avuto la sventura di trovarsi in mezzo a una carica. E inoltre, ancora una volta: che sarebbe successo se le due manifestazioni – quella di destra e quella di sinistra – si fossero scontrate? E soprattutto: cosa c’è di antifascista, cioè di democratico e costituzionale, nel tentare di sopraffare le forze dell’ordine per raggiungere un’altra manifestazione e dare origine – prevedibilmente – a una guerriglia urbana? Così, nella foga di contrastare Salvini, la sinistra politica e giornalistica, in crisi di idee, argomenti e copie, non solo finisce per consegnare patenti di antifascismo ai centri sociali, agli autonomi, ai violenti estremisti che in piazza cercano sistematicamente lo scontro, ma contribuisce a delegittimare le forze di sicurezza democratica del nostro paese. Insomma la sinistra di giornale e di partito va a braccetto con il Truce, che questa opera sconsiderata l’ha iniziata quando si è installato al Viminale con la divisa addosso.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.