Chiara Appendino, Sergio Chiamparino (foto LaPresse)

Il voto sul Chiappendino

David Allegranti

Perché le elezioni regionali in Piemonte sono un voto politico (e in ballo c’è il futuro del centrosinistra)

Roma. Le elezioni piemontesi di domenica prossima descrivono meglio di altre, per qualità e quantità, lo stato di salute e il futuro del centrosinistra italiano prima ancora che del Piemonte, che è anche la seconda regione per numero di comuni al voto, 826 (di cui ben 209 nella cintura rossa della città metropolitana di Torino). L’immarcescibile Sergio Chiamparino, governatore uscente, si è fatto portavoce della battaglia a favore della Tav, che ha un peso nella competizione, contendendo dunque l’elettorato al centrodestra, che in teoria è culturalmente sviluppista. Al contempo però in questi anni ha insistito un po’ troppo sulla storia della concordia istituzionale con la sindaca Chiara Appendino. A Torino è nata una crasi per descrivere questo stretto rapporto politico: Chiappendino.

 

Una linea, quella del dialogo con i Cinque stelle (istituzionale o no poco importa), non condivisa dal capogruppo del Pd di Torino Stefano Lo Russo, che in più di un’occasione ha spiegato quanto sia deleteria per il centrosinistra la corrispondenza d’amorosi sensi con il M5s. I Cinque stelle, è il ragionamento fatto in questi anni da Lo Russo e da altri, sono semplicemente dei competitor nati dalle difficoltà della sinistra e non possono prosperare ai danni del Pd. Chiamparino costantemente cerca invece di parlare ai Cinque stelle, di recente ha rivolto un appello ai grillini: “Perché un elettore del M5s dovrebbe votare per me? Credo perché io do più garanzie su alcuni valori di fondo, come abbiamo dimostrato nell’ultima decisione sul Salone del Libro, dove fra la signora Halina Birenbaum (una delle ultime reduci di Auschwitz) e un editore che si professa fascista, io e la sindaca Appendino abbiamo affermato le ragioni della signora Halina”.

  

Dietro la carta dell’antifascismo, tuttavia, ci potrebbe essere qualcosa di più ed è quello che insospettisce parte del Pd piemontese e torinese, molto attento alle mosse del Chiappendino. Non è un caso, infatti, che dopo le elezioni europee e regionali potrebbe riaprirsi una fase di dialogo fra Pd e M5s. Le due anime dei Democratici, che già si sfidano a Roma, potrebbero entrare in collisione già la prossima settimana anche in Piemonte. Molto dipende anche dal risultato locale oltre che da quello nazionale. Se la linea Chiamparino venisse sconfitta e i Cinque stelle perdessero di brutto allora ci sarebbe spazio nel Pd per un’operazione, finora mancata in Piemonte, di rinnovamento del partito.

  

“Se prendiamo i risultati del 2018, il centrodestra ha un vantaggio significativo: 130 mila voti in più rispetto al centrosinistra. A loro favore gioca il fatto che nelle province sono più forti. A nostro vantaggio però gioca la credibilità del candidato”, dice al Foglio Piero Fassino. “Chiamparino ha un grado di notorietà incommensurabilmente superiore rispetto ad Alberto Cirio”, candidato del centrodestra, che ieri è stato accompagnato da Berlusconi in giro per le vie del centro di Torino. Un sondaggio dell’istituto Piepoli realizzato tra il 9 e l’11 maggio dà il 40-44 per cento a Cirio e il 37-41 a Chiamparino. Solo il 16-20 a Giorgio Bertola, candidato del M5s, partito che è in difficoltà proprio nella sua città simbolo, Torino, come ricorda Fassino, tra il no alla Tav e il no alle Olimpiadi. “In più la città è gestita in modo deludente. C’è da capire che cosa farà l’elettorato dei Cinque stelle. Si asterrà o voterà per il centrosinistra pur di non far vincere la Lega, visti i continui litigi?”.

 

C’è anche un’altra ipotesi, in realtà: che quei voti, sopratutto nelle famose periferie (vedi Torino), vadano dritti nelle casse elettorali della Lega. “Se i Cinque stelle vanno male, ci indeboliamo anche noi, perché Cirio potrebbe prendere gratisi voti dei grillini”, osserva un esponente del Pd di Torino. non convinto che il Pd possa essere attrattivo per l’elettorato dei Cinque stelle. Un timore dunque è che nonostante la famosa concordia istituzionale del Chiappendino, lo sconfitto principale sia anzitutto il Pd. L’altro timore, per parte del Pd piemontese, è che in caso di vittoria il “dialogo” sia prodromico ad altri tipi di interlocuzioni. Fassino tuttavia esclude che l’appello di Chiamparino significhi “una futura maggioranza Pd-5 stelle. Ha fatto bene a farlo per evitare la vittoria del centrodestra di Salvini”. Secondo l’ex sindaco di Torino si potrebbe verificare “uno scenario laziale: Chiamparino vince perché prende voti come presidente, ma il risultato delle liste potrebbe non essere lo stesso. Comunque, Zingaretti non ha la maggioranza ma governa lo stesso il Lazio”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.