Il ministro Erika Stefani con il governatore del Veneto Luca Zaia (Foto LaPresse)

L'autonomia delle regioni del nord in agonia

Valerio Valentini

Zaia spazientito. Stefani vedrà Conte. E persino nella Lega sospettano che Salvini non spinga

Roma. Che possa essere quello risolutivo, non sembra crederci troppo neppure lei, Erika Stefani, che di “settimane decisive”, per l’autonomia, ne ha già vissute abbastanza per sapere che no, neppure l’incontro con Giuseppe Conte in programma nei prossimi giorni darà il via libera definitivo. “Io, del resto, quel che dovevo fare l’ho già fatto, il dossier è pronto da febbraio”, ripete da tempo il ministro per gli Affari regionali. La riunione non è ancora stata fissata, in agenda: la Stefani e il premier si vedranno verosimilmente martedì o mercoledì, senza che al momento la presenza dei due vicepremier, quelli che dovrebbero dettare i tempi della trattativa, sia certa. “Questa autonomia sta diventando un’agonia”, sbuffa Luca Zaia, dando voce all’impazienza del suo Veneto e della Lombardia di Attilio Fontana, pure lui sempre più insofferente ai continui rinvii a data da destinarsi. “Se questo governo non vuole più farla, la farà qualcun altro”, minaccia Zaia. Parlando ai grillini, certo, ma forse sperando che anche Matteo Salvini intenda: quella battaglia, per la Lega, è irrinunciabile.

 

Ed è anche per questo, allora, che il capo del Carroccio ha ripreso a parlare del tema, pretendendo che se ne discutesse, seppure solo in via preliminare, nel Cdm di martedì sera. Gli serve per placare la delusione crescente dei leghisti del nord, e anche per mandare un messaggio chiaro a Luigi Di Maio: se ci sarà una questione su cui minacciare davvero la crisi, dopo le Europee, se ci sarà un argomento su cui mostrarsi intransigenti nelle contrattazioni che seguiranno al voto del 26 maggio, non potrà che essere l’autonomia. “Non la vogliono? Allora i grillini si assumeranno la responsabilità di violare il patto di governo”, dicono i leghisti. E dunque la rottura non la si giustificherebbe nel nome delle sacre istanze autonomiste del nord – cosa che sarebbe difficile da spiegare ai tanti neofiti leghisti da Bologna in giù – ma in virtù della slealtà degli alleati.

 

I quali, evidentemente, devono fiutare l’inganno, se è proprio al contratto che si rifanno per giustificare le loro perplessità. “In quel contratto si cita l’autonomia, certo; ma non si stabilisce che la Lega se la canti e se la suoni da sola”, dice Mattia Fantinati, sottosegretario alla Pubblica amministrazione e colonnello veronese del M5s. Parla di “mistificazione da parte degli amici del Carroccio”, Fantinati, rivendica la fedeltà del suo partito: “Per la prima volta, dopo quasi vent’anni di governo leghista in Veneto e altrettanti a Roma, la Lega trova alleati di parola, convinti sull’autonomia. Si chiede semplicemente, e mi pare un saggio modo di fare politica, di procedere con la cautela necessaria per una riforma di questo tipo. Non è pensabile che Stefani e Zaia se la decidono fra loro, senza coinvolgere il Parlamento”.

 

In verità dovranno passarci, dal Parlamento, le intese tra lo stato e le regioni. E dalla palude di Montecitorio usciranno ridimensionate. “A Salvini basterà portare a casa il risultato, anche se dovrà rinunciare a qualche richiesta più hard”, ammettono i leghisti, i quali in fondo considerano scontato che sia in materia di reclutamento docenti (“Lì è ancora tutto in discussione”), sia sull’applicazione transitoria della spesa media pro capite (“Quella è indifendibile”) bisognerà cedere. “In ogni caso – ragionano i salviniani – se variamo l’autonomia, sia pure ridimensionata, avremo ottenuto la più grande vittoria di sempre della Lega”.

 

Il dossier d’altronde è lì, fermo da metà febbraio. E da allora, da quando Stefani ha concluso l’istruttoria coi vari ministeri, che s’è impantanato tutto, in uno stallo fatto di tatticismi snervanti tra i due vicepremier. Al punto che per Stefano Bonaccini, governatore pd di quella Emilia-Romagna che s’è unita alla richiesta di autonomia lombardo-veneta, ieri è stato facile stuzzicare Salvini: “La nostra regione ha chiesto da oltre un anno l’autonomia differenziata. Oltre a prometterla nei comizi, riesce il ministro dell’Interno a produrre qualche risultato?”. E quando gli si riporta questa dichiarazione, Gianluca Vinci, segretario emiliano della Lega che ieri è rimasto tutto il giorno al fianco del suo “capitano” in tour elettorale tra Modena e Ferrara, reagisce stizzito: “Non deve certo insegnarcelo Bonaccini, a noi, come si fa l’autonomia”. Quanto ai tempi, però, permane ancora la vaghezza. “Il percorso è lungo. Ma la nostra gente sa che si sta procedendo”. Il che suona un po’ come una richiesta di clemenza: tutto e subito no, non si può fare. 

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