Accusa con retromarcia

Luciano Capone

L’impeachment, la manina, le vipere al Mef e ora Bankitalia. Un anno di Di Maio, ovvero un anno di cul de sac

“Mi fido assolutamente di Bankitalia, non c’è nessuna sfiducia”. Nei confronti della Banca d’Italia Luigi Di Maio ripropone il suo cavallo di battaglia: la denuncia di alto tradimento con la retromarcia incorporata. La prima esibizione è coincisa con la nascita travagliata del “governo del cambiamento”, quando il capo politico del M5s voleva mettere in stato d’accusa il presidente della Repubblica per “alto tradimento” o “attentato alla Costituzione” a causa del veto su Savona, salvo trasformare pochi giorni dopo la piazza convocata per chiedere l’impeachment nella piazza per la festa della nascita del governo Conte. “Il presidente Mattarella è stato fondamentale come garante della Costituzione, è stato un po’ l’angelo custode del governo”, dirà qualche mese dopo il vicepremier. Da traditore della patria ad angelo custode, grazie anche alla piazza reversibile, il passo è breve.

  

Il numero è stato ripresentato con il Ragioniere dello stato Daniele Franco, prima accusato di essere una delle “vipere” che infestano il Mef, poi uno di cui non fidarsi (“Faccio controllare ogni norma ai miei collaboratori, perché non mi fido” – i cittadini possono stare tranquilli perché a controllare Franco, un funzionario con un curriculum sterminato nelle istituzioni nazionali e internazionali, ci sarà un uomo fidato tipo Pietro Dettori). Infine Franco è diventato uno che, dopo un po’ di visite, può andare bene: “L’ho visto una volta sola e non posso dire se mi fido o non mi fido”. Perché Di Maio l’affidabilità e la competenza delle persone le riconosce solo guardandole negli occhi. 

  

Poi è stata la volta della “manina, con l’annuncio dal salotto televisivo di Bruno Vespa – una pagina storica della politica e dell’avanspettacolo – di una denuncia da presentare l’indomani in procura per scoprire l’autore della manomissione di un decreto del governo già inviato al presidente angelo-custode-ex-traditore Mattarella, che però nega in simultanea, via Twitter, di aver ricevuto alcunché. Il complotto si risolve senza denunce e senza manine, ma con una risata: “Dov’è il testo? Si sarà perso per strada”.

   

Ora il vicepremier pensa di risolvere allo stesso modo la guerra che ha scatenato contro la Banca centrale e che non sembra avere alcuna speranza di vincere. Di Maio ha accusato Banca d’Italia di non aver vigilato e di essere “collusa” con le banche fallite: “Queste collusioni tra vigilanti e vigilati sono costate tantissimo a centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori”. E per questo bisogna “cambiare i vertici, azzerarli se necessario” per “mandare un messaggio ai risparmiatori traditi”. Con questa motivazione, il vicepremier ha iniziato una guerra di posizione nei confronti di Palazzo Koch che è consistita nel rifiuto di qualsiasi forma di dialogo e nella mancata approvazione delle nomine. Prima ha fatto decadere il vicedirettore generale Luigi Federico Signorini e poi, dopo aver atteso mesi, ha fatto lo stesso per l’Ivass – l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni – approvando solo uno dei due nomi indicati da Ignazio Visco, lo stretto necessario per non bloccare l’attività dell’autorità.

  

Il problema del braccio di ferro di Di Maio è che indicare i nomi spetta per legge al governatore della Banca d’Italia e a maggio, prima delle elezioni, scadono altri due membri del direttorio. Quindi va trovata una soluzione prima, altrimenti la Banca centrale verrebbe paralizzata con riflessi sull’Eurosistema sul Sebc. Una soluzione che passa dalla spiegazione da parte del governo del rifiuto dei nomi indicati da Visco, cosa che ancora non è avvenuta. E senza un atto formale che motivi la bocciatura il governatore della Banca d’Italia quei nominativi non può neppure cambiarli (ammesso che abbia intenzione di farlo).

  

Di fronte all’ennesimo cul de sac in cui si è infilato, Di Maio se ne esce come al solito: “Mi fido assolutamente di Bankitalia”. Una retromarcia che probabilmente prelude alla conferma di Signorini, come concessione a Visco per ottenere qualche altra testa a maggio.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali