Il neosegretario del Pd, Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

I dieci punti non negoziabili per il nuovo leader del Pd contro i cialtro-sovranisti

Claudio Cerasa

Economia, giustizia, concorrenza, lavoro, salari. Come si protegge un paese? Perché il whatever it takes anti populista del nuovo leader Pd passa dalla nascita di un progetto capace di smascherare il falso sovranismo

Per capire quale sarà la principale sfida del nuovo segretario del Partito democratico non vale la pena concentrarsi sui dettagli, ovvero sulla storia e sul profilo del nuovo leader del Pd, ma vale la pena concentrarsi prima di tutto sul contesto politico all’interno del quale si muoverà il capo del primo partito d’opposizione. Il contesto, se vogliamo, coincide perfettamente con la data particolare di oggi, il 4 marzo, e una volta trattenute le vostre risate sulle tempistiche scelte dal Pd per avere un leader alternativo a quelli di governo, prima si dice che in Italia c’è un nuovo fascismo e poi ci si mettono dodici mesi e dicasi dodici mesi per scegliere un nuovo segretario, provate a riflettere su cosa hanno significato per il nostro paese i 365 giorni che ci separano dal 4 marzo del 2018, giorno in cui l’Italia ha scelto con notevole lungimiranza di affidarsi alle forze del cambiamento. Non è una semplice premessa, è una cornice necessaria da condividere per poter costruire un’opposizione non subalterna ai cialtro-sovranisti. E chiunque voglia osservare la cornice dell’Italia senza tapparsi gli occhi, oggi non può non riconoscere quello che è successo nei primi nove mesi del cambiamento italiano.

 

In questo arco di tempo, Salvini e Di Maio hanno contribuito a creare un’Italia più fragile, più debole, più isolata, più tassata, più indebitata, più giustizialista, più pessimista, più instabile, più assistenzialista, con meno crescita, con meno lavoro, con meno investimenti, con meno ricchezza, con meno fiducia, con meno consumi, con meno alleati, con meno esportazioni, con meno infrastrutture, con meno produzione industriale, con meno fatturato dei servizi, con una giustizia meno giusta, con una democrazia rappresentativa messa in discussione e con un paese che nel giro di pochi mesi è passato dall’avere molti segni più ad avere molti segni meno.

 

L’Italia di oggi, in altre parole, è un’Italia che ha creato le condizioni perfette per peggiore buona parte dei suoi problemi e la vera cifra della dinamica populista è aver fatto di tutto per rendere il paese nuovamente vulnerabile. Il professor Sergio Fabbrini, domenica scorsa, ha segnalato sul Sole 24 Ore che il governo italiano nasce dalla necessità di rispondere a un disagio sociale, eppure sembra fare di tutto per accentuarlo. E il punto da cui dovrebbe partire un qualsiasi segretario del Pd in fondo è proprio questo: essere alternativi al governo del cambiamento non poco poco, come dice il nostro elefantino, ma tanto tanto, rendendosi conto che i voti dei delusi e degli incazzati che hanno votato per Movimento 5 stelle e Lega non si conquistano dimostrando di saper fare meglio di Movimento 5 stelle e Lega le cose che hanno promesso e non sono stati in grado di fare: si conquistano dimostrando che il dramma del cialtro-sovranismo è quello di aver promesso fregnacce che non si potevano realizzare.

 

Un Pd che sceglie, come ha fatto in questi mesi, di essere all’opposizione poco poco del Movimento 5 stelle e della Lega sul reddito di cittadinanza, sulla quota cento, sull’assistenzialismo, sul lavoro, sul rapporto con le imprese è un Pd che sceglie di essere subalterno. E per non essere sottomesso al populismo degli incapaci ci sono almeno dieci principi non negoziabili a cui il nuovo segretario non può permettersi di non aderire. La difesa della democrazia rappresentativa. La difesa del garantismo e dunque dello stato di diritto. La difesa del patriottismo europeo (tutti e tre i candidati alla segreteria avevano aderito all’idea del Foglio di mettere le bandiere dell’Europa nel simbolo del Pd: che aspettate?). La difesa della flessibilità nel lavoro. La difesa della concorrenza. La difesa del principio che uno stato più equo è uno stato che le tasse fa di tutto per abbassarle e non per alzarle. La lotta per una maggiore produttività. La lotta contro il principio del piccolo uguale bello. La lotta per avere salari più alti. La lotta contro l’assistenzialismo nel lavoro. La rivendicazione infine (punto numero undici) di un nuovo sovranismo europeista.

 

La grande sfida del nuovo segretario del Pd, oltre a dimostrare di avere un quid, oltre a dimostrare di essere qualcosa di diverso da un semplice amministratore di condominio, oltre a dimostrare di non essere il curatore fallimentare del partito d’opposizione più importante d’Italia, è quella di dare un seguito politico a un impeccabile ragionamento sviluppato dieci giorni fa da Mario Draghi a Bologna sul tema del sovranismo.

 

 

Draghi ha ammesso che nel contesto storico in cui viviamo oggi “il cambiamento è necessario”, ma che vi sono strade diverse per attuarlo. In giro per il mondo, dice Draghi, si riscoprono antiche idee che hanno plasmato gran parte della storia, per cui la prosperità degli uni non può essere raggiunta senza la miseria di altri, per cui organizzazioni internazionali o sovranazionali perdono di interesse come luoghi di negoziato e di indirizzo per soluzioni di compromesso, per cui l’affermazione dell’io, dell’identità, diviene il primo requisito di ogni politica e per cui la libertà e la pace divengono accessori dispensabili all’occorrenza. Una volta accettata questa premessa, continua Draghi, bisogna avere però il coraggio di dire che in un sistema economico integrato a livello mondiale e regionale i paesi europei devono cooperare per poter esercitare la propria sovranità e che per questa ragione chi trasforma il nazionalismo in una forma di nuova sovranità in realtà non sta difendendo la sovranità di un paese ma la sta solo indebolendo. Il nuovo leader del Pd, a prescindere dalla sua storia, dal suo profilo, dalle sue attitudini, dal suo cognome avrà molti compiti di fronte a sé. Ma quello più delicato, più importante e più vitale, per non riportare il Pd al medioevo della politica, è mettere in campo il proprio whatever it takes per dimostrare che la protezione dei cittadini, delle loro vite, della loro sicurezza, dei loro risparmi non passa dalla difesa della chiusura ma passa dalla rivendicazione dell’apertura. E la prima cosa che dovrebbe imparare a fare un bravo segretario del Pd è quella di trovare il modo di non regalare più l’espressione sovranista ai nuovi cialtroni del populismo. In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.