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La scelta di Zingaretti di non essere un leader è a rischio flip-flop

Giuliano Ferrara

Da elettore secondario, vorrei essere rassicurato sullo script del Pd senza capo 

Nicola Zingaretti, congratulazioni e buon lavoro, si è presentato come uno che non è un “capo” bensì il leader di una comunità. Per la parola capo ho un debole, ho spesso detto che l’unica carica istituzionale alla quale aspiravo, eventualmente, era quella di capo della polizia, il signor capo della polizia, mi suona bene, è spagnolesco. Nessuno me l’ha proposta, quella carica, e alla fine mi sono rassegnato. “Leader di una comunità” è formula che non fa per me, ma provo rispetto per questo tipo di incoronazione, in cui si passa da “Dio me l’ha data e guai a chi la tocca” al più modesto “non so perché l’ho avuta, ma mi tocca”. Non sarà Napoleone, ma Zingaretti ha diritto di provarsi in un’uscita ordinata e sensata dalla crisi del partito, ultimo partito costituzionale e repubblicano, che ha perso le elezioni politiche di un anno fa. C’è da augurarsi che riesca nel compito, con l’aiuto dell’apparato, dei capicorrente e degli elettori liberi delle primarie che lo hanno incaricato di riorganizzare il nucleo politico dell’opposizione in una logica diversa da quella del suo ultimo capo, Matteo Renzi.

   

Perché Craxi, Berlusconi e Renzi, per non parlare di Togliatti e Amendola, sono stati in effetti dei capi, e a vario titolo, forse sensato, me ne incapricciai. Capo vuol dire uno che si fa sceneggiatore, regista e protagonista di un film girato “nello splendore del 35 millimetri”, e trova i soldi per la produzione: è uno che, come direbbe Max Weber, offre una visione (“chi ha voglia di Weltanschauung, di visione del mondo, vada al cinema”, così il grande sociologo). Io quel vizietto della visione ce l’ho, ma se mi dicono che è il momento di un’onesta e tenace buona amministrazione di quel che c’è, mi adeguo senza scalciare. Però vorrei essere rassicurato.

   

Come cittadino non elettore primario, solo secondario e di risulta, ci terrei si specificasse che vabbè, no visione, ma lo script non sarà noioso, e sebbene il regista sia collettivo e l’attore protagonista uno preso dalla strada, qualche speranza di happy ending sussiste, non dico dietro l’angolo ma nemmeno nel lungo termine, ché lì, si sa, siamo tutti morti.

  

Nella sua provvisoria vitalità, il cittadino vorrebbe sapere dal capo se sia pro mercato e società aperta, se abbia a cuore libertà e responsabilità, intraprendenza individuale non meno che protezione sociale, se promuova politiche attive del lavoro e del reddito (da lavoro, non da cittadinanza), e poi vorrebbe apprendere varie altre cosucce su Europa, politica estera, cultura, energia, infrastrutture, fiscalità, debito e moneta. Sopra tutto il cittadino vorrebbe sapere se ci sia un progetto per assumere il comando alternativo a chi comanda ora, trattandosi di un capo all’opposizione. Più o meno le stesse domande destinate a un capo, el jefe, se volete una sfumatura attenuata, meno pressanti, prive di perentorietà alcuna, sarebbero da rivolgersi al leader di una comunità, a un community organizer. Nel caso la risposta sia che “bisogna voltare pagina”, data la debolezza della metafora da esercizio provvisorio, il cittadino avrebbe la sensazione di trovarsi davanti a un flop, al massimo un flip-flop.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.