Meloni, Salvini e Berlusconi (foto LaPresse)

Manovre a destra

Salvatore Merlo

Salvini pensa di mollare Le Pen e no euro. Meloni lo anticipa e venerdì 22 entrerà nel Partito conservatore europeo. Un centrodestra senza Cav.

Roma. Sono cominciate le manovre del riassetto politico in vista delle elezioni europee. Mosse, strategie, tasselli di un gioco che in Italia avrà conseguenze sul governo, sul rapporto tra Lega e M5s, e che potrebbe restituire un quadro politico forse più ordinato anche nel nostro paese. Venerdì prossimo atterreranno a Roma Jan Zahradil e Ryszard Legutko, il presidente ceco del Partito conservatore europeo (Acre) e il vicecapogruppo polacco del gruppo conservatore al parlamento europeo (Ecr). Giorgia Meloni anticipa Matteo Salvini che pensa a un piano per il dopo europee. 

   

L’annuncio sarà dato a breve, ma è già deciso: venerdì 22 si riunirà a Roma il consiglio del Partito dei conservatori europei per ratificare l’ingresso di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni, grazie al lavoro diplomatico di Raffaele Fitto, vecchia volpe dalla trama e dell’ordito politico, già aveva aderito all’Ecr, il gruppo rappresentato al Parlamento europeo. Ma adesso questo rapporto diventa ancora più organico con l’ingresso nel partito (Acre) e lascia intravedere scenari di scomposizione e ricomposizione all’interno del centrodestra italiano che non potranno non avere conseguenze nel rapporto asimmetrico tra Lega e M5s al governo. I conservatori sono la terza formazione, per voti e numero, in Europa, dopo i popolari e i socialisti, e sono il gruppo che insieme a popolari e liberali, cinque anni fa, elesse Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo. Un gruppo composto principalmente dai Tory inglesi, in uscita, e dai polacchi di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito di governo a Varsavia.

   

Meloni ritiene che l’internazionale sovranista sia una bolla, per quanto al momento gonfia di voti, e che insomma i giochi dopo le prossime elezioni europee, per la nomina della Commissione, saranno comunque fatti dai partiti tradizionali indisponibili ad accordi con gli estremisti francesi di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland. Alcuni giorni fa, Antonio Tajani, non casualmente, ha definito sul Foglio “inutile” il sovranismo. Inutile anche perché incoalizzabile, e insomma politicamente sterile. La bolla sovranista – pensa quindi Meloni, ma questo è anche il sospetto concreto di Salvini – ha raggiunto la sua massima estensione pure in Italia. E allora la chiave del consenso, nella prospettiva di un prossimo governo omogeneo, sta in un allargamento della destra verso il centro, verso la ri-costruzione di un centrodestra (o meglio destracentro) che tuttavia – in Italia – non sarà più trainato da Silvio Berlusconi, anzi forse non lo contemplerà nemmeno, considerato che Salvini avrebbe fatto testare una coalizione guidata da lui con Berlusconi e una coalizione sempre guidata da lui ma senza Berlusconi, ricavandone il risultato che il Cavaliere gli farebbe perdere 5 punti. E infatti i bene informati sostengono persino che la Lega si prepari a un test elettorale sul divorzio da Forza Italia, forse in Basilicata (dove si vota il 24 marzo) o ancora meglio in Piemonte, dove si vota contestualmente alle europee. Sullo sfondo, in questo intreccio tra Italia e unione europea, c’è l’idea di una federazione, o forse persino un partito unico, che senza Berlusconi (ma non è detto senza Forza Italia) dovrà comunque essere capace di rassicurare un elettorato per lo più poco incline agli eccessi e alle stramberie no euro, pur mantenendo una posizione durissima sull’immigrazione e nella difesa del principio nazionale.

   

Un progetto del genere Salvini lo aveva già accarezzato quando, il 9 gennaio, aveva incontrato Kaczynski a Varsavia proponendogli un’alleanza che l’ex primo ministro polacco, leader di un partito di destra cattolica con venature nazionaliste ma atlantista, aveva sostanzialmente rifiutato per due ordini di motivi: la vicinanza di Salvini a Vladimir Putin, cioè il nemico numero uno, e il rapporto di familiarità che il capo della Lega ha con Marine Le Pen, altra alleata di Putin, considerata inoltre una infrequentabile da tutti i partiti democratici nel Parlamento europeo. E insomma Meloni, con il suo piccolo partito che la Lega cerca di soffocare, adesso si è piazzata in quel luogo geometrico in cui ritiene, prima o poi, debba arrivare anche Salvini, ammesso che voglia giocare sullo scacchiere europeo e incidere nel meccanismo che porterà alla formazione della prossima Commissione.

 

Ma per entrare nei conservatori, Salvini adesso non dovrà soltanto assecondare una metamorfosi sulla quale sta riflettendo (abbandonare Putin, Le Pen e tutto il cucuzzaro dei no euro italiani). Dal punto di vista della meccanica politica, dovrà pure scendere a patti con Meloni che, in quanto parte del gruppo e del partito conservatore, avrà diritto di veto sul suo ingresso. Per adesso Salvini rimane immobile, come un geco alla parete. Ma dopo le europee dovrà fare una mossa, valutando i risultati, compreso quello dei suoi alleati grillini, e i nuovi equilibri a Bruxelles. La scelta implica l’ambizione di passare da vicepremier d’un governo bislacco a capo di un governo di centrodestra, abbandonando la morchia.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.