Luigi Zanda (foto LaPresse)

La democrazia del carciofo, secondo Zanda

Luigi Zanda

Col disegno di legge sulla riduzione del numero dei parlamentari, 5 Stelle e Lega vogliono indebolire il Parlamento spogliandolo foglia dopo foglia, dice il senatore del Pd

Pubblichiamo il testo dell'intervento del senatore del Pd Luigi Zanda, rivolto in Aula lo scorso 6 febbraio, sulla proposta di legge per la riduzione del numero dei parlamentari.

 


  

Definirò il mio voto su questo provvedimento dopo le decisioni dell'assemblea del mio gruppo e questo mio intervento avrà, quindi, un carattere esclusivamente politico.

  

Nella passata legislatura ho presentato un disegno di legge che prevedeva la riduzione del numero dei parlamentari nella stessa misura della proposta che stiamo discutendo, verso la quale non ho quindi alcun pregiudizio negativo.

 

Ma, in premessa debbo dire che nel nostro Paese, con il risultato elettorale del 4 marzo il quadro politico si è radicalmente modificato e l'Italia è passata da una prospettiva democratica di ammodernamento delle sue istituzioni, all'annuncio di un radicale sconvolgimento della democrazia parlamentare.

 

La riduzione dei parlamentari, presentata in tempi di riformismo democratico, è diventata dal 4 marzo una cosa diversa, una mossa preparatoria di un futuro istituzionale democraticamente molto equivoco.

 

Futuro equivoco per l'oscurità del modello costituzionale verso cui 5 Stelle e Lega vogliono portare l'Italia.

 

E perché nessuno sa in che modo le loro iniziative, sia quelle già all'esame del Parlamento, sia quelle del contratto di governo, concorrano a realizzare quella democrazia diretta che, per quel poco che se ne sa, è molto pericolosa per l'Italia.

 

La domanda è questa: dove Lega e 5 Stelle vogliono portare il nostro Paese? Sulle loro strategie costituzionali di fondo non sappiamo nulla di nulla.

 

Possiamo solo cercare di connettere tra loro posizioni che, pur così disordinate, sono tutte indirizzate a scardinare i principi della democrazia parlamentare.

 

Non c'è soltanto il trattamento riservato al Senato nello scorso dicembre in occasione della legge di bilancio e che possiamo definire eversivo. Ma c'è anche il vincolo di mandato previsto dal contratto di governo e ci sono le dichiarazioni di Casaleggio, Grillo e Di Maio sul superamento della democrazia e sull'inutilità del Parlamento. Ci sono, poi, i magistrati e c'è la Banca D'Italia cui, secondo Salvini e Di Maio, è negato il diritto di parola perché non sono stati eletti.

 

C'è, infine, Gaia, un filmato del 2008 di Gianroberto Casaleggio che prevede che, dopo una lunga, devastante guerra, avremo un nuovo ordine mondiale dominato dalla rete, senza più Stati, né partiti, né ideologie, né religioni, dove ogni uomo per esistere dovrà essere nella rete perché fuori dalla rete nessuna persona esisterà.

 

  

Come si fa a non prendere sul serio questi annunci? Sono tutti coerenti tra di loro e provengono da personalità che oggi governano l'Italia. Come si fa a non tener conto che nessuna di queste dichiarazioni sia stata mai smentita, così come non si può non vedere che la presa di distanza dei 5 Stelle dall'evocazione antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion da parte di un loro senatore sia stata tanto lieve da essere passata inosservata?

  

Con la nuova politica, tutto diventa possibile, dall'abolizione del Parlamento, al superamento della democrazia e ai Protocolli dei Savi di Sion.

 

Tutto fa pensare che 5 Stelle e Lega abbiano scelto di trattare il Parlamento e la democrazia rappresentativa come un carciofo, spogliandolo e indebolendolo foglia dopo foglia.

 

Per questa ragione, sino a quando al Parlamento e al Paese non verrà chiarito come e quando maggioranza e governo intendono realizzare la democrazia diretta, dobbiamo usare la massima attenzione non solo nella riduzione del numero dei parlamentari, ma anche su qualsiasi altra equivoca proposta di modifica delle nostre istituzioni rappresentative.

 

Voglio dirlo con chiarezza. Nella sua essenza, la scelta dei Costituenti a favore della democrazia parlamentare è uno dei principi supremi che la Corte Costituzionale ha dichiarato immodificabili. Non è accettabile che uno stravolgimento così profondo avvenga pezzo dopo pezzo, con provvedimenti abilmente distribuiti un po' alla Camera e un po' al Senato.

 

L'antieuropeismo, l'amicizia con leadership autoritarie, la politica migratoria, sono alcuni degli ingredienti della deriva di paura e di odio con i quali, 5 Stelle e Lega stanno cercando di cambiare, incattivendola, la natura degli italiani.

 

È su questo sfondo di propaganda martellante fatta di disvalori e di incultura, che si inseriscono gli attacchi al Parlamento, alle aree più delicate della pubblica amministrazione, alla libera stampa, alla magistratura.

 

E, a proposito della magistratura, non stupisce che Matteo Salvini rifiuti il processo. Tutti ricordano quando al magistrato che gli aveva mandato l'avviso di garanzia diceva "io sono stato eletto e lui no".

 

È sufficiente riguardare il filmato Gaia per capire che la democrazia diretta non prevede corpi intermedi tra chi comanda e un popolo destinato solo ad ubbidire, un regime dove il primato della politica si stinge in una formula nuova, fatta di populismo, sovranismo e autoritarismo che usano la rete per convivere in un patto di potere, al solo scopo di governare insieme.

 

Mi rivolgo, quindi, ai due capigruppo della maggioranza, ai senatori Patuanelli e Romeo. Come si fa ad accettare singoli pezzi di riforma senza che almeno ci sia stato un ampio confronto in Parlamento sull'obiettivo finale, sulla riforma complessiva? Lega e 5 Stelle hanno i numeri, li usino per promuovere un grande dibattito parlamentare che metta a confronto la democrazia parlamentare con la democrazia diretta.

 

Se questa è la sfida, affrontatela con trasparenza, senza sotterfugi. Abbiate il coraggio di aprire qui in Senato una discussione seria sulle vostre idee, ne trarremo tutti grandi benefici e, finalmente, gli italiani capiranno di cosa stiamo parlando.

 

Tutti sappiamo che le nostre istituzioni vanno riformate e che la stessa democrazia parlamentare va rinnovata. Ma non così.

 

Prima di abbandonare quella centralità del Parlamento che ci hanno insegnato con tanto sacrificio Moro e Berlinguer, la Malfa e Saragat, De Gasperi e Togliatti, Einaudi e Nenni, ci vorrebbe qualcosa di più convincente, in termini democratici, della generica allusione alla democrazia diretta di Di Maio e Salvini.

 

Chiudo con un'ultima considerazione.

 

Da qualche giorno l'Italia è ufficialmente in recessione ed è certo che i nostri problemi non saranno risolti dall'annuncio dell'avvocato Conte e dell'onorevole Di Maio di un 2019 bellissimo e di un boom economico come negli anni '50 e '60.

 

Ma Conte, Salvini e Di Maio, con il loro parlare vano e i loro tweet, hanno messo in evidenza una grande questione e cioè il rapporto tra economia e politica. Hanno reso chiaro che le dichiarazioni di Toninelli su Lione e di Di Battista su Maduro sono strettamente collegate alle difficoltà della nostra economia.

 

C'è un filo rosso che lega politica ed economia. Quando a una crisi economica grave si sovrappone un governo litigioso che progetta riforme pericolose, allora i guai diventano molto, molto seri. Ed è proprio per il forte legame tra politica ed economia che la prospettiva dell'introduzione in Italia una incostituzionale democrazia diretta pesa molto, oltre che sul nostro futuro e sul nostro isolamento internazionale, anche sul nostro destino economico e sulle decisioni degli investitori e dei mercati.

 

È per l'insieme di queste ragioni che considero la riduzione del numero dei parlamentari non una misura di razionalizzazione del lavoro parlamentare, ma un tassello dell'opera di demolizione della nostra democrazia rappresentativa.

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