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Elogio di Dibba

Claudio Cerasa

L’incompatibilità con la realtà, il populismo nemico del popolo, la mala educación sfascista. La discesa in campo di Di Battista (“mbè, gli applausi?”) è una delizia che ci ricorda cosa rischia l’Italia a credere nella menzogna del grillismo moderato

Embè, gli applausi? La trasformazione del Movimento 5 stelle in un pessimo arrosticino cotto a fuoco lento dalle fiamme della realtà è tutta lì, nella meravigliosa scena andata in onda martedì sera su La7 di fronte a Giovanni Floris, dove il politico più abbronzato d’Italia, Alessandro Di Battista, si è rivolto al pubblico di “DiMartedì” rimproverandolo di non essere stato sufficientemente generoso nei suoi confronti: embè, gli applausi?

  

Dall’alto della sua profonda conoscenza in campo economico e della sua formativa esperienza manageriale nell’azienda del padre, i cui conti l’inflessibile Di Battista jr monitorava con tanta attenzione da non essersi accorto della presenza nell’azienda di un lavoratore in nero, il subcomandante Dibba era lì a chiedere a Floris di non mettere troppa fretta al Movimento 5 stelle e “di dare il tempo a un governo che fa una misura di capire se quella misura funziona o meno”. Dibba, con la stessa intensità con cui mesi fa arringò la folla in Parlamento contro il presidente Macron che a differenza di Napoleone “non ha mai combattuto sui campi di Auschwitz”, una volta affermata la sua verità sceglie di lanciare uno sguardo severo contro un pubblico rimasto immobile, congelato, indifferente, di fronte alla sua affermazione. La scena l’avrete vista tutti: “Che fate oggi, non applaudite nessuno? Si può, eh, lo potete fare. Non vi hanno dato queste?”, dice Dibba indicando le proprie mani.

 

 

E’ solo un istante, naturalmente, ma in quell’attimo come per magia Dibba è riuscito a mostrare la vera condizione del Movimento 5 stelle: la progressiva consapevolezza che il problema del grillismo non è un’elezione in Abruzzo ma è la progressiva incompatibilità con la realtà dei fatti e con l’educazione data ai propri elettori. La realtà dei fatti è quella di un’economia che ha bisogno di quello che il M5s non vuole offrire all’Italia: meno burocrazia, più efficienza, più produttività, più credibilità, più investimenti, più grandi opere. L’educazione data ai propri elettori è invece quella contestata da Dibba al pubblico di “DiMartedì”: considerare il grillismo come un culto politico da seguire in modo acritico, come fanno gli adepti con la propria setta, e trasformare il presente, il tutto e subito, nell’unico tempo adatto per giudicare l’attività di un politico.

 

A suo modo, dunque, Dibba ha messo in mostra un manifesto assoluto dell’impotenza grillina e solo per questo bisognerebbe ringraziarlo. Ma in realtà Dibba andrebbe ringraziato anche per molto altro e in verità la discesa in campo del gemello diverso di Luigi Di Maio in fondo meriterebbe di essere persino elogiata. Il Dibba in campo, il Dibba pugnace, il Dibba che torna sulla scena sparando fesserie sulla Tav, su Bankitalia, sulle grandi opere, sull’Alta velocità, sull’Europa, sul Franco Cfa, sul Venezuela, su Macron al contrario di quello che si potrebbe credere non è “l’altro volto” del Movimento 5 stelle, quello meno moderato, ma è al contrario il volto che più di qualunque altro rappresenta l’essenza pura del grillismo, la sua vocazione a sposare i lemmi della decrescita infelice, la sua tendenza a giocare con l’eversione, la sua predisposizione ad aggredire i valori non negoziabili di una democrazia rappresentativa, la sua tendenza a promuovere burattini in Parlamento, la sua sostanziale incompatibilità con il governo della settima potenza industriale del pianeta. Bisogna ringraziare Di Battista perché è anche grazie al nostro Guevarino grillino che ogni giorno sempre più elettori hanno la possibilità di vedere quello che per molto tempo in troppi avevano scelto di non vedere. Ovverosia che la favola sciocca del grillismo moderato è la più grande fake news prodotta dalla classe dirigente italiana.

 

Immaginare un grillismo moderato è come immaginare un fascismo riformista, è come immaginare un razzismo ragionato, è come immaginare una donna parzialmente incinta, è come immaginare che un populista sappia fare davvero gli interessi del suo popolo. E ieri, a proposito di ossimori, ci ha pensato l’European fund managers survey, il sondaggio che Bank of America-Merrill Lynch conduce periodicamente tra 218 manager dell’industria del risparmio che amministrano 625 miliardi di dollari di asset, a segnalare che il populismo è contro il popolo, contro il suo risparmio e contro la sua ricchezza, facendo notare che nel mese di febbraio l’Italia è diventata ancora di più un paese da evitare e che il 53 per cento dei gestori dà un giudizio “underweight” (vendere) alle azioni italiane per i prossimi 12 mesi, di gran lunga le meno preferite in Europa. E per capire se questo governo sia adatto oppure no a ridare credibilità all’Italia basta guardare negli occhi gli scappati di casa a Cinque stelle, magnificamente rappresentati da Dibba, che hanno vinto la lotteria della politica senza saper dire nessun’altra parola diversa da quella che sta bloccando l’Italia: semplicemente, no. Grazie Dibba, gli applausi magari un’altra volta.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.