Luca Zaia alla manifestazione per l'autonomia del Veneto il 22 ottobre 2017 (Foto Imagoeconomica)

In Veneto il credito di Salvini sta finendo. Si sogna il modello catalano

Carlo Lottieri

Il progetto indipendentista non è mai stato abbandonato, neanche ora che la Lega è al governo e in testa a tutti i sondaggi

Padova. Quello di Matteo Salvini può sembrare un miracolo politico. Ha ereditato un partito schierato a difesa del settentrione e ne ha fatto una forza il cui slogan è “prima gli italiani”. In realtà, il partito della secessione è stato facilmente trasformato nella versione italiana del Front National per una ragione fondamentale: perché già prima una larga parte della propaganda era orientata più sul tema dell’immigrazione che su quello della ridefinizione dell’assetto territoriale. In questo senso, Salvini è stato il migliore allievo di Umberto Bossi.

 

Entro un simile scenario, il Veneto resta un caso particolare. Qui c’è una tradizione che è antecedente alla Lega, dato che la Liga Veneta elesse due parlamentari già nel 1983. Il desiderio di autogovernarsi viene da lontano e si nutre di molti elementi: la memoria dei mille anni della Serenissima, una struttura economica basata su piccole imprese, un forte senso di appartenenza che trova espressione anche nel costante utilizzo – pure da parte di professionisti e imprenditori – della lingua di Carlo Goldoni. In Veneto non è scontato che il partito che predicò la secessione possa rilanciare l’intero armamentario della retorica risorgimentale senza pagare alcun prezzo.

 

Così le ultime elezioni hanno visto Salvini condurre una campagna elettorale peculiare. Mentre nel resto d’Italia il messaggio era focalizzato su immigrati e sicurezza, in Veneto al cuore della propaganda c’era l’autonomia. A più di un anno di distanza dal referendum di ottobre non è però ancora successo nulla e soprattutto è stato annunciato un progetto basato soltanto su un trasferimento di competenze, senza toccare la questione del residuo fiscale: ossia quei quasi 20 miliardi che fanno la differenza tra ciò che il Veneto paga e ciò che riceve da Roma.

 

Non bisogna allora sorprendersi se sabato scorso, a Limena (vicino a Padova), abbia visto la luce l’Asenblèa Veneta, ossia l’equivalente dell’Assemblea nazionale catalana. L’idea dei promotori è di dare forza a un progetto indipendentista che non è mai stato abbandonato e che, per di più, è all’origine dello stesso referendum di ottobre, dopo che una mobilitazione promossa da Indipendenza veneta aveva costretto il Consiglio regionale ad approvare un referendum consultivo sull’indipendenza (poi bocciato dalla Consulta).

 

Finora Luca Zaia è riuscito a convincere i veneti che lo stesso partito che nel centro-sud ha imbarcato larga parte dei post missini qui può essere utile alla difesa dei diritti del Veneto; e nei giorni scorsi Salvini ha scritto una lettera a vari quotidiani veneti per magnificare i propri risultati in tema di immigrazione (senza fare cenno alla questione dell’autonomia). Non si sa però quanto potrà durare una situazione tanto equivoca. Tutti i sondaggi descrivono un Veneto ancora disposto a dare credito alla Lega: confrontato alle possibili alternative, ai veneti Salvini continua a piacere, ma i fatti sono inequivocabili.

 

La flat tax non c’è, anche perché il governo non ha tagliato le spese. Per giunta il reddito di cittadinanza è in sostanza un regalo al sud, mentre ci si chiede quali prospettive vi siano per un’Italia sempre più disposta a giocare, in Europa, il ruolo di un vasto Mezzogiorno bisognoso di aiuti. In Veneto l’intenzione espressa dai ministri Salvini e Bongiorno di assumere altri statali non è affatto apprezzata.

 

Quanti erano a Limena pensano che non esistano soluzioni italiane al “problema Italia” e che quindi Salvini sia destinato a fallire. Il leader della Lega può guadagnare tempo cambiando alleanze e ricostruendo il centro-destra, ma poi i nodi alla fine verranno al pettine. E poiché nessuno, a Roma, è in grado di adottare le soluzioni adeguate (politicamente improponibili), si ritiene che presto si possa aprire una finestra di opportunità per un Veneto alla catalana. Una cosa è chiara: sono tanti gli elettori veneti che vorrebbero allontanarsi da Roma. Se Salvini non darà loro risposte, è possibile che si rivolgano altrove.

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