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Un dicembre in piazza

Salvatore Merlo

Salvini, Grillo e Berlusconi. Prima di Natale tutti su un palco a Roma. Solo il Pd sembra non aver niente da vendere

Roma. Una piazza per esistere e una per resistere, una per confermarsi e una per affermarsi. Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, forse persino Beppe Grillo, a dicembre tutti in piazza, tutti a Roma, città che come al solito si lascerà svuotare e riempire e poi di nuovo svuotare, con la solita dolente consapevolezza che prima o poi ogni benedetto carnevale è destinato a finire. Solo il Pd sarà senza piazza, a quanto pare, espressione geografica di uno smarrimento che forse nemmeno le primarie del 3 marzo sapranno dissipare, ma d’altra parte – si sa – non si va in piazza quando non si ha nulla da vendere: non si allestisce un palco se non si può esibire il carisma di un leader, cioè la merce. E insomma pur senza elezioni – ché quelle europee saranno il 26 maggio del 2019 – l’Italia politica si attrezza e si addobba per le feste, e ciascuno degli attori è pronto a fare la festa all’altro. Berlusconi animerà le piazze d’Italia da domani, e poi a quanto pare anche la capitale a fine mese, Grillo pensa invece di tornare tra i suoi demoralizzati ragazzi a metà mese, mentre l’8 dicembre – Immacolata concezione – Piazza del Popolo sarà di Matteo Salvini, baldanzoso e gonfio di sondaggi, allegramente sospeso tra Di Maio e Berlusconi, tumulto e governo, al suon di “la difesa è sempre legittima”: Immacolata propaganda.

 

E ognuno ha un suo scopo e un suo traguardo, una sua difficoltà da superare, una velleità da coltivare o un suo trionfo da celebrare su quel proscenio, la piazza appunto, da cui sempre prende vita la narrazione del potere e del contropotere, la nascita, la morte, o la resurrezione. Le ossa di Luigi Di Maio, per dire – quelle corporali, per quelle politiche è tutto un altro discorso – sono intatte, ma a forza di gaffe e poca azione, lavori in nero e case abusive, prepotenze leghiste e inciampi da apprendistato, adesso sull’orlo del baratro il vicepremier sente di trovarsi. E stare in politica a ridosso del baratro è come stare a ridosso di un muro: di fucilazione. Così ecco l’idea, che circola e piace, chiamare Beppe, il 18 dicembre, come fece l’anno scorso Virginia Raggi che lo accolse dicendo: “E’ venuto a portarci coraggio”. 

 

Per ora è una polvere sottile che si sente nell’aria, un moscerino nell’occhio, un sordo brontolio come di stomaco troppo vuoto (o invece troppo pieno), ma i grillini al governo sono in difficoltà e quel distacco di quasi nove punti dalla Lega assume una dimensione opprimente. Se n’è accorto Grillo, chiamato adesso a lenire con uno dei suoi spettacoli dal copione impeccabile, con le sue battute ripetute con efficacia e il vaffanculo che si leva liberatorio, le sofferenze e i dolori del M5s, i troppi cedimenti a Salvini, le liti interne tra Di Maio e Roberto Fico, le battaglie perse e quelle dimenticate come il Tap, mentre per la Tav è pronta l’altra piazza grillina, l’8 dicembre, a Torino. Ma di questa polvere che si posa come una lebbra sul M5s se n’è accorto ovviamente anche Berlusconi, che finora ha coltivato il non esserci ma adesso cerca la piazza, e dice: “Saremo alla testa del cambiamento voluto dalle persone ragionevoli”. Pensa di poter separare Di Maio e Salvini, Berlusconi. Insegue e vagheggia il rilancio attraverso un palco e, chissà, anche la resurrezione. Dunque il Cavaliere prepara la mobilitazione contro la manovra, smonta e rimonta il suo partito, lo battezza con nomi sempre nuovi (l’ultimo è l’Altra Italia), e amanuense di se stesso, anche gabellando sogni per realtà, dice che “siamo in crescita all’11,3 per cento”, “ho un gradimento personale tra il 25 e il 33 per cento”, “il consenso del governo è destinato a crollare sotto il peso delle contraddizioni”, “dobbiamo essere pronti”.

 

E allora ciascuno, in questo dicembre che si apre, metterà in scena il suo spettacolo di piazza, il suo teatro, posto che spettacolo e propaganda sono oggi, molto semplicemente, e mai come prima: la politica. O se si vuole, in modo un po’ più sofisticato, la politica fatta con altri mezzi. Lo sa bene Salvini, lui che a forza di recitare il suo ruolo in pubblico, di studiare ogni movimento, ogni sguardo, ripetendo come un attore le parole di cui vuole servirsi, si sente costantemente in scena. Così, mentre i grillini manifesteranno a Torino contro la Tav, in attesa di Grillo a Roma, ansimanti come Berlusconi per un rilancio, mentre insomma tutti saranno alle prese con il menabò confuso del futuro, Salvini sarà l’unico che invece andrà in piazza del Popolo – e nello stesso giorno in cui circa trent’anni fa Bossi officiò il primo congresso della Lega a Pieve Emanuele – per celebrarsi e celebrare, per raccogliere e certificare una condizione di superiorità: la padronanza del gioco. Ovviamente, trattandosi di piazze, saranno tutte piene e sempre di almeno un milione (ormai per meno non si avvia neanche mezza rivoluzione, nemmeno un mezzo happy hour, un mercatino dell’usato o un funerale).

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.