La conferenza stampa a Caserta dove il governo ha presentato il protocollo per la gestione dei rifiuti in Campania. Foto LaPresse

Il teatro della monnezza

Salvatore Merlo

La spazzatura del governo tra bufale sui termovalorizzatori, finti allarmi e retorica vuota sulla differenziata. Così i meccanismi farseschi negano la realtà anche in Campania

Roma. Il sindaco di Pomigliano d’Arco, Lello Russo, un po’ ride e un po’ si arrabbia, “questi del Movimento 5 Stelle da me si oppongono pure al biocompostaggio”, dice, lui che amministra il comune di residenza della famiglia di Luigi Di Maio. Poi il sindaco, che è spiritoso, squaderna uno di quei dettagli che in un attimo rendono l’interezza di quel pasticcio che è il mezzogiorno, o forse l’Italia intera, un posto dal metabolismo accelerato dove tutto s’intreccia e si mescola: ribellismo, neghittosità, strumentalizzazioni, stranezze, tragedia e furbizia. “Ma sapete perché si oppongono a questo impianto, i 5 stelle? Si oppongono perché dista poco dalla casa abusiva di una loro consigliera comunale”.

   

Intanto a Caserta, dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è scapicollato per annunciare il nulla – e cioè che i militari e i carabinieri, come già previsto dal governo di centrosinistra, presidieranno i centri di stoccaggio dei rifiuti in Campania, lì dove da diversi anni si verificano incendi misteriosi e dolosi (incendi che tutti sembrano però avere scoperto soltanto ieri) – mentre insomma è in corso la riunione del Consiglio dei ministri, ecco che la prefettura viene assediata da bandiere, megafoni, striscioni, tifoserie contrapposte: i leghisti, i Cinque stelle, Legambiente, i Cobas, la sinistra e i centri sociali. Urla, applausi e pernacchie. E tutto per cose che tuttavia nessuno ha intenzione di costruire (termovalorizzatori non se ne faranno) né di abbattere (l’unico termovalorizzatore esistente in regione, ad Acerra, rimane in attività).

   

E in realtà quello che va in scena da qualche giorno è un insieme di cose già sentite, già lette, già viste, una specie d’intreccio di repertorio, sempre più stanco, che si ripete uguale da oltre dieci anni, da quando cioè nel 2007 Antonio Bassolino voleva costruire il termovalorizzatore di Acerra, e Rifondazione con i Verdi gli facevano la guerra. Una vicenda che si concluse con la distruzione politica di Bassolino, la sua assoluzione giudiziaria, e per fortuna anche con la costruzione di quell’unico termovalorizzatore che ad Acerra, grazie a un precarissimo equilibrio impedisce il ritorno indecoroso e quotidiano alle montagne di spazzatura che nel 2008 avevano sommerso Napoli e la provincia. Da allora nei meccanismi farseschi e tragici della politica è cambiato poco. Qualcuno dà fuoco alla spazzatura, qualche altro a quel punto si sveglia e si accorge che il ciclo dei rifiuti in Campania non funziona, allora propone la costruzione dei termovalorizzatori, finché non arriva un altro che si oppone ai termovalorizzatori perché inquinano e allora dice che invece bisogna fare la raccolta differenziata, come se fossero due opzioni incompatibili e non – al contrario – l’una cosa il completamento dell’altra. In questo astratto paese il nodo pratico e urgente della questione si diluisce in dosi omeopatiche tra sguaiatissimi dibattiti da talk-show e riunioni tanto pompose quanto inutili del Consiglio dei ministri. Passa infatti qualche anno e la cosa si ripete. Fuoco, allarme, chiacchiere sui termovalorizzatori, chiacchiere sulla raccolta differenziata, di nuovo le stesse proteste, le stesse proposte, la stessa mosca che si posa sugli stessi nasi. Rosa Russo Iervolino lasciò Napoli nel 2011 con una raccolta differenziata tragicamente ferma al 25 per cento. Circa sette anni dopo, Luigi De Magistris, al suo secondo mandato da sindaco, l’ha portata al 33 per cento circa, dopo aver detto (nel 2011): “In sei mesi la porto al Settanta”. Dunque niente raccolta differenziata e niente termovalorizzatori. La costruzione dell’impianto di Giugliano, considerato strategico, è stata infatti bloccata con il concorso del presidente della regione Vincenzo De Luca e di un movimento guidato da preti e centri sociali, ragazzi di Beppe Grillo e notabilato di paese, farmacisti, medici generici, oscuri oncologi. Insomma da una parte della stessa popolazione che vive circondata da un paesaggio di campagne stravolte da trent’anni di sversamenti illegali e incendi dolosi di monnezza abbandonata. Abbastanza da far capire quanto la sfida ai rifiuti sia un paradosso, un procedere per contrari, una resistenza al destino che ne rivela la completa, rassegnata accettazione. In un rovo contraddittorio in cui poi tutto, affinché davvero non si capisca nulla, viene chiamato “Terra dei fuochi”: un non luogo dalla geografia irregolare, un barocchismo buono a suggestionare ma non a spiegare cosa succede.

    

“Noi abbiamo la raccolta differenziata al 67 per cento”, racconta il sindaco di Pomigliano d’Arco. “Vendiamo la plastica, vendiamo il vetro, vendiamo l’alluminio. E quando, malgrado i Cinque stelle, avremo anche l’impianto per il biocompostaggio, allora finalmente venderemo anche i rifiuti organici trasformati in compost. Rimane sempre un 33 per cento di rifiuti indifferenziati. Questa roba, in attesa di migliorare ancora di più la capacità della raccolta differenziata, dove la metti? La mandi al termovalorizzatore. Non ci sono altri modi. Il resto sono chiacchiere, parole”. Spazzatura metaforica, ma non meno appestante di quella vera.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.