La cerimonia per il 157esimo anniversario della costituzione dell'Esercito italiano (foto LaPresse)

Sovranisti solo a parole. Così il governo gialloverde taglia i fondi alla Difesa

Lodovica Palazzoli

Meno fondi alle forze armate per far ripartire i centri per l'impiego. "Si colpisce così la capacità di difesa del paese", dice al Foglio l'ex capo di stato maggiore della Difesa, Camporini

A rimetterci sarà anche la Difesa. La legge di bilancio prevede infatti un taglio dei fondi destinati al dicastero del ministro Elisabetta Trenta, pari alle risorse necessarie a riformare i centri per l'impiego. "Chi ha scritto questa ipotesi di norma ignora che la capacità di difesa che hanno le forze armate è un elemento fondamentale della statualità", spiega a Il Foglio Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della difesa. "Questa iniziativa intacca l'efficienza delle Forze Armate e il fatto che sia presa da un governo sovranista rappresenta una grande contraddizione".

 

Il taglio di risorse dovrebbe aggirarsi intorno ai 500 milioni di euro, necessari a far ripartire quei centri per l'impiego, i Cip, utili a identificare i destinatari del reddito di cittadinanza e a indirizzarli verso una possibile occupazione. E se l'efficacia di questo sistema è ancora tutta da verificare, dato che al momento solo una esigua percentuale delle persone che fa richiesta riesce a trovare lavoro attraverso questi centri, alcuni programmi della Difesa risentiranno subito e negativamente di questa disposizione.

 

"Probabilmente a farne le spese sarà il programma NH 90, che subirà un rallentamento. Si tratta di un elicottero utilizzato sia dalla Marina sia dall'Esercito, utile per le operazioni di peacekeeping, cioè per quel tipo di missioni in cui sono impegnati più di frequente i militari italiani", dice Camporini.

 

In forse poi l'arrivo dei missili CAMM-ER necessari alla difesa aerea, per garantire la sicurezza anche in occasione di eventi come il G20 e Il G8. Sembra sfumare così anche l'ipotesi di realizzare un progetto chiamato Pentagono italiano, che prevedeva la razionalizzazione dei centri di comando nella Capitale e che avrebbe portato diversi benefici, anche in termini di traffico e vivibilità cittadina, perché avrebbe trasferito in periferia molte strutture militari. 

 

Le ricadute di questo nuovo taglio alla Difesa non saranno però solo nazionali. Durante il consiglio Nato tenutosi in Galles nel 2014, i paesi membri del Patto atlantico avevano stabilito di destinare il 2 per cento del pil alle spese militari entro il 2024. "I tagli preannunciati vanno in direzione opposta", chiarisce l'ex capo di stato maggiore della Difesa, " il tetto del 2 per cento non c'è stato imposto da Donald Trump, ma lo abbiamo concordato insieme agli altri partner. Il governo italiano ha deciso di non tenerne conto, ma ora bisognerà vedere quale sarà l'atteggiamento degli altri stati".

  

C'è poco ottimismo anche per il destino del programma di Difesa comune europea: l'integrazione presuppone la condivisione di capacità dei singoli stati membri, che se vengono depotenziate non possono essere utili alle forme di collaborazione ipotizzate. Dal governo intanto arrivano rassicurazioni al personale: i tagli non riguarderanno gli stipendi dei militari, per i quali è stato da poco riformato anche il sindacato. "Il problema”, mette in guardia Camporini, "è che se la Difesa è vista come un bancomat da cui tutti attingono per trovare le risorse alle esigenze più varie, ne risente la capacità operativa che rischia di non essere più al livello degli standard richiesti". 

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