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Il futuro dell'Europa passa dal “no” alla manovra sovranista

Claudio Cerasa

La realtà contro i populisti. L’Europa salta non se fa rispettare le regole, ma se accetta che queste possano essere violate

"Le sembrerà strano, ma le regole valgono anche per lei”. Per salvare l’Europa dall’aggressione sovranista, la Commissione europea, quando dovrà decidere come valutare la legge di Stabilità presentata ieri dal capriccioso governo italiano, avrà due strade precise che potrà scegliere di seguire. La prima strada è quella di costruire un richiamo paterno, severo ma solo formale e in fondo protettivo. La seconda strada è quella di muoversi per far rispettare le regole, sapendo che un richiamo solo formale, per l’Europa, sarebbe nient’altro che un tentativo maldestro di captatio benevolentiae e sarebbe in fondo molto più pericoloso di uno scontro con il governo del cambiamento populista, perché certificherebbe in modo plastico che le regole che tengono insieme l’Europa sono regole che si possono anche non rispettare più.

 

Grazie alla seducente e sempre sobria narrazione sovranista, i commissari europei sono stati trasformati in pericolosi e ubriachi terroristi pronti a tramare da un momento all’altro contro gli elettori italiani sempre in combutta con i famigerati poteri forti amici delle banche e delle agenzie di rating. E di fronte a questa descrizione coloro che oggi vengono descritti come i nemici del popolo potrebbero essere mossi da una tentazione: evitare di far crescere ancora di più la bolla di malcontento contro l’Europa e provare a guadagnarsi la fiducia dei sovranisti chiudendo un occhio sulla violazione delle regole.

 

A questo punto del nostro ragionamento, il nodo da sciogliere coincide con una domanda precisa e importante: chi ha a cuore il futuro dell’Europa deve augurarsi che l’Europa sia comprensiva, e che chiuda un occhio, o che l’Europa sia rigorosa, e che faccia rispettare le regole?

 

La risposta a questa domanda è che chi ha a cuore il futuro dell’Europa deve augurarsi che la Commissione europea non smetta di fare quello che ha fatto negli ultimi giorni: un paese che in modo unilaterale non rispetta i suoi impegni sul deficit è un paese che non rispetta le regole e una macchina che decide di andare contromano – e che sceglie di violare un po’ meno le regole a partire dal prossimo anno – non è sufficiente che rallenti per essere legittimata ad andare contromano. In un sorprendente momento di sincerità, lunedì sera a “Quarta Repubblica” da Nicola Porro, Luigi Di Maio, parlando della legge di Stabilità, ha detto che “dobbiamo costringere l’Europa a dire no alla manovra. In quella frase di Di Maio esiste un fondo di verità che ci spiega bene una grande e comprensibile paura che vive nella testa dei sovranisti italiani: essere bocciati dai mercati senza avere un’Europa brutta e cattiva su cui scaricare ancora la responsabilità del proprio disastro (mercoledì scorso, alle 11.29, come segnalato dall’Ansa, lo spread tra Btp e Bund è schizzato verso l’alto, oltre quota 300 punti, negli stessi istanti in cui il vicepremier Luigi Di Maio stava commentando la manovra in un punto stampa della Camera, giusto per ricordare ai portavoce di Rocco Casalino che il problema di chi va contromano è chi si trova alla guida, non il vigile che ti multa).

 

Naturalmente, è possibile che una bocciatura a Bruxelles della manovra possa contribuire a far crollare ancora di più la credibilità del nostro paese e la sostenibilità del nostro debito pubblico – diversi osservatori e tra questi anche alcuni esponenti del governo gialloverde sono convinti che il declassamento del debito italiano sia già stato “prezzato” in questi giorni – e augurarsi che il governo della pazzia populista venga sconfitto dalla forza dello spread è come augurarsi di vedere il proprio treno deragliare solo per il piacere di non ascoltare più le chiacchiere insopportabili del nostro vicino di poltrona. Iscriversi al partito Forza Spread è una stupidaggine. Ma iscriversi al partito di chi si augura che l’Europa abbia ancora la forza di far rispettare le sue regole dovrebbe essere invece un atto non negoziabile per chiunque abbia a cuore un principio elementare: senza regole non esiste comunità, senza comunità non esiste protezione, senza protezione si è semplicemente più vulnerabili. Se esiste una regola che non ti piace quella regola si prova a cambiarla, non a violarla. Vale quando si parla di un Def che vìola platealmente le regole europee che obbligano l’Italia, con il 133 per cento di debito/pil, a ridurre l’indebitamento ogni anno e portare il suo deficit strutturale lungo un percorso virtuoso. Vale quando si parla di trattati e vale quando si parla di Costituzione e non bisogna essere dei raffinati costituzionalisti per ricordare che l’articolo 81 della Carta consente l’indebitamento al solo fine di far fronte agli effetti del ciclo economico negativo. E accettare che le regole vengano cambiate senza essere cambiate – come ha splendidamente ricordato Mara Carfagna alla Camera due giorni fa al ministro Salvini con il suo “le sembrerà strano, ma le regole valgono anche per lei” – non significa fare il gioco del popolo bensì fare un passo in avanti per accelerare la dissoluzione del sogno europeo e per dare ragione a tutti quei politici irresponsabili che non si rendono conto che a far aumentare gli spread non è l’Europa ma il più pericoloso tra gli avversari dei sovranisti: la realtà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.