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Una via sui migranti, secondo Fassino

David Allegranti

Come essere popolari sull’immigrazione senza essere populisti, e senza i due estremismi

Roma. Piero Fassino concorda con il Foglio: c’è bisogno di una “terza via” sull’immigrazione. Il che non significa affatto cedere alle parole di Matteo Salvini. Significa piuttosto che “il Pd e il campo delle forze progressiste hanno bisogno di un radicale salto di qualità”, dice Fassino. “Nel 2001 quando perdemmo le elezioni, sia pure di poco, mi candidai alla segreteria dei Ds con lo slogan ‘O si cambia o si muore’. E quel cambio di passo ci consentì di vincere tutte le elezioni amministrative, regionali, europee, politiche dal 2002 al 2006. Oggi c’è bisogno di una svolta ancor più radicale perché tutto intorno a noi è cambiato. Certo, i valori della sinistra di uguaglianza, giustizia, solidarietà e libertà rimangono attuali e intatti. Ce n’era bisogno nel secolo scorso, ce ne sarà bisogno in questo e nel prossimo. Ma è cambiato il modo in cui questi valori vengono vissuti e sopratutto le modalità con cui affermarli. Nel ‘900 – passando per tragedie quali il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, due guerre – la sinistra è stata egemone: i suoi valori, le sue conquiste – dal suffragio universale ai diritti sociali, dal welfare alla costituzionalizzazione del mercato – si sono affermati e sono diventati universali. L’8 marzo a lungo è stata una festa della sinistra, oggi la celebrano tutti – anche la destra – e la parità di genere è diventata un valore da tutti riconosciuto. Il welfare nato nella cultura socialdemocratica è oggi ritenuto irrinunciabile anche dai conservatori. La costituzionalizzazione del capitalismo, realizzata nella seconda metà del ‘900, ha permesso di far incontrare i valori di uguaglianza e redistribuzione della sinistra con le ragioni del mercato”.

  

Insomma, dice Fassino, “il ‘900 è stato il secolo della sinistra. Oggi invece rischiamo la marginalità: dalla vittoria di Trump alla Brexit ai risultati elettorali in Olanda, Austria, Polonia, Ungheria, Germania, Slovenia, Italia uno tsunami ha investito la sinistra. Certo lo smottamento ha investito tutte le culture politiche del Novecento – la Merkel ha perso non meno dei socialdemocratici – ma è sopratutto la sinistra a essere insidiata dai movimenti antisistema (preferisco chiamarli così e non populisti) che hanno conquistato voti negli strati sociali che un tempo erano bastioni elettorali della sinistra. Marine Le Pen ha perso le elezioni, ma raccogliendo 13 milioni di voti, in primo luogo nelle banlieues operaie e popolari. Afd in Germania ha ottenuto i consensi più alti nei Länder dell’Est. In Italia 5Stelle e Lega hanno sfondato anche la’ dove la sinistra è sempre stata forte. E se la sinistra perde ovunque dobbiamo chiederci quali sono le ragioni strutturali. Il voto di marzo ci parla di una società divisa, fratturata, impaurita, che domanda protezione, non solo sociale”. Dieci anni di crisi, osserva Fassino, “hanno prodotto una frattura tra chi ha visto messa in discussione la propria quotidianità e chi pur vivendo in un contesto di crisi ha potuto mantenere il proprio tenere di vita. Insomma, tra ‘esclusi’ e ‘inclusi’. E chi si è sentito escluso, ha maturato sentimenti di solitudine, abbandono, frustrazione, rabbia che ha portato a votare per i partiti antisistema. Donald Trump nel suo primo discorso dopo la vittoria ha ringraziato il ‘forgotten men’, l’uomo dimenticato. Insomma: una parte della società non si è sentita tutelata. Che sia sempre vero o no importa poco, è la percezione che conta. Ma c’è di più: l’insicurezza, lo spaesamento, la paura del domani ha investito anche chi non è stato direttamente colpito dalla crisi. A Bergamo la disoccupazione è al 4 per cento, a Modena al 6, a Cuneo al 5 e così nel nord-est. Eppure, anche in quelle zone, lo spostamento di voti verso 5 stelle e Lega è stato enorme. E la sinistra non è riuscita a trasmettere un messaggio di speranza. Insomma, alla frattura sociale si è sommata una frattura democratica, là dove tanti non si sono sentiti rappresentati da chi governava”.

     

L’immigrazione è così “divenuto catalizzatore di tutte le paure. Colpisce scoprire che gli italiani pensano che gli stranieri siano il 27 per cento della popolazione quando invece sono circa l’8. Una paura che colpisce sopratutto la popolazione più umile e popolare, che vive l’immigrato come un competitore nella ricerca di un lavoro, nell’assegnazione di una casa popolare, nel posto all’asilo per il figlio o il nipote. Ora, una forza di sinistra non può accettare le parole d’ordine di Salvini: prima gli italiani, agli altri niente. E però non sempre abbiamo avuto attenzione a evitare che l’integrazione dei migranti venisse vissuta dagli italiani come la sottrazione di un loro diritto. Se il criterio determinante per ottenere una casa popolare è la la dimensione del nucleo familiare, è quasi certo che in testa alle graduatorie ci siano sempre famiglie straniere e che le famiglie italiane, in attesa magari da anni, la vivano come un’ingiustizia. Serve equilibrio, adottando criteri che non siano discriminanti, né per gli italiani, né per gli stranieri. Altrimenti l’integrazione, giusta in sé, non verrà accettata”. Analoghe le riflessioni di Fassino sul lavoro: “Sono andato a difendere il jobs act e continuo a pensare che sia una riforma utile che ha creato nuovi posti di lavoro, e non solo a tempo determinato. Perché invece la riforma è stata percepita come un vettore di precarietà? Chiediamoci se gli strumenti di accompagnamento sono stati adeguati. Se flessibilizzi il mercato del lavoro devi avere anche strumenti di protezione e di affermazione dei diritti in modo che la flessibilità non si traduca in precarietà. Un’equazione che io ho sempre rifiutato. Ecco, e’ su questo che dobbiamo fare il Congresso. Una operazione culturale e politica che abbia respiro e visione, restituisca speranza e fiducia e renda così visibile e credibile il progetto alternativo dell’opposizione. E chiami a raccolta le tante energie della società italiana e le federi in un largo e nuovo campo dei progressisti e dei riformisti. Ed e su questo che il Pd ritrova le sue ragioni di essere”. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.