Niente terza via sui migranti
Lo scontro è tra umani e disumani e per questo l’Europa rischia (e anche noi)
Vorrei obiettare all’evocazione degli opposti estremismi in tema di migranti che stava ieri nell’editoriale di Claudio Cerasa e in quello dell’Economist là riassunto, oltre che in commenti all’ultima notizia sul modo in cui poche decine di naufraghi della Diciotti sono stati ricevuti a Rocca di Papa. Cominciamo da quest’ultimo episodio. Ci sono persone che hanno alle spalle un’odissea indicibile, piuttosto un calvario, e deliberatamente protratto quando dovevano sentirsi finalmente in salvo, su territorio italiano, sebbene si trattasse del ponte di una nave militare e non della terraferma. A Rocca di Papa qualcuno ha desiderato uscire di casa a consolare la fine provvisoria della loro peripezia facendoli sentire benvenuti. Altri hanno voluto infliggere loro un supplemento di spavento e di minaccia. “Estremisti della paura ed estremisti umanitari”? Mi pare che una descrizione più appropriata opponga persone umane e persone disumane. Le prime, in questa circostanza, non hanno nemmeno una mira partitica, come non ce l’ha la chiesa cattolica che ha patrocinato la piccola accoglienza. Le seconde sono egemonizzate fisicamente da militanti fascisti – che danno oltretutto prova di una orribile vigliaccheria, scegliendosi simili nemiche e nemici – e girate a vantaggio del nazionalismo e dell’irrisione della democrazia del governo vigente.
Al di là di questa ripugnante esemplificazione, a chi si riferisce la posizione espressa nello slogan “Accogliamoli tutti”, e a quale circostanza? Chi conoscesse un po’ di storia, anche della storia più peculiarmente italiana, e avesse qualche esperienza della natura umana, non poteva ignorare, addirittura da decenni, che l’immigrazione avrebbe occupato il centro della crisi della democrazia da noi e nell’occidente, fino a minacciarne la tempra. Perché la mutazione si compisse c’era bisogno della crisi economica, vecchio nome dato alla trasformazione nella distribuzione planetaria della ricchezza e del potere, ed è venuta. E c’era bisogno dell’odore di guerra vicina nel vicino oriente (ex Jugoslavia e Ucraina non erano bastate a turbare i sonni degli altri europei) e delle sue incursioni terroristiche. I migranti avrebbero catalizzato la frustrazione. In Italia, il loro numero, comunque inferiore al resto d’Europa, sarebbe stato compensato con gli interessi dalla rapidità del mutamento e da un generale modo febbrile nostro di recuperare i ritardi e sopravanzare: nel bene e nel male, mi piacerebbe dire, se fosse vero: eroina, demografia... Anni fa anche commentatori dei più conservatori, oggi ormai sfrenati nel cavalcare un gergo xenofobo, incarognito e spesso nitidamente razzista, ricorrevano piuttosto all’argomento dei contraccolpi che l’immigrazione, fenomeno “naturale” e incolpevole, avrebbe prodotto su un’opinione pubblica disorientata.
È vero che si è a lungo evitato di fare i conti con quella prevista conseguenza dalla parte più favorevole all’accoglienza e all’apertura umana e civile – che non era solo “la sinistra”, un ruolo primario spettando al cosiddetto mondo cattolico. Quei conti riguardavano, e ancora riguardano, due principali conseguenze materiali, psicologiche e simboliche dell’immigrazione e del suo fantasma. La prima era uno spodestamento sociale. Credo di averlo spiegato per primo, ormai tanti anni fa, come un trapasso fra gli ultimi e i penultimi. Gli italiani poveri e impoveriti, un ceto medio declassato, operai espropriati dell’orgoglio collettivo che era stato loro e resi incerti e volentieri umiliati, il numero crescente di italiani uniti almeno dalla fiducia di essere gli ultimi cui non solo il cielo ma anche la terra deve riservare un risarcimento, di colpo diventavano penultimi, posizione triste per il cielo e per la terra, scalzati dai nuovi arrivati. Succedeva a volte nelle classifiche sull’assegnazione delle case o nei lavori e nella degradazione dei compensi e della fatica, più ancora succedeva nella sensazione psicologica di una destituzione, una retrocessione sociale.
Il solco così aperto e via via spalancato faceva degli stranieri (quelli disgraziati, non Ronaldo) i bersagli prediletti di rabbia e paura, e insieme faceva dei padroni, italiani e no, del denaro o del potere politico, sempre più indipendentemente dal loro operato concreto e dalle loro idee, dei nemici del popolo. L’effetto incontrollato dell’immigrazione aveva un altro aspetto, anch’esso legato al fantasma dello straniero, ma in proporzione più reale: un’ansia per la minaccia al nostro modo di vita – alla nostra laicità, ai nostri costumi, e al loro nocciolo, le libertà sessuali e la libertà delle donne. Questa doppia preoccupazione è stata trascinata dalla parte buona della nostra società (buona, la chiamo, non buonista) come si trascina qualcosa che non si vuol vedere o non si sa come trattare; e intanto gonfiava la parte accanitamente disposta a un potere da parvenu eccitando paura e odio per gli stranieri e odio vendicativo per la casta – l’establishment, qualcuno di costoro si attenta a dire, sbagliando l’accento. (Noto di nuovo che l’eroe di Orbán ha pronunciato martedì: “I Soros”, non più un uomo – un finanziere ebreo – ma una categoria – i finanzieri ebrei?).
Ma che cosa voleva dire “Accogliamoli tutti”? Che “i buoni” immaginino o addirittura auspichino un travaso totale dell’Africa e degli altri continenti a San Gimignano? Prendiamo davvero sul serio una cosa simile? Gli slogan sono slogan. Nella realtà concreta c’è un altro significato col quale si deve consentire o dissentire: “Soccorriamoli tutti”. E’ al tempo stesso un precetto morale (religioso, per chi è religioso) e una norma legale; non solo quando si tratti del mare e del suo codice, perché l’omissione di soccorso vale anche sulla terra. Qualcuno ha preteso e a volte realizzato di violare quel significato. Qualcuno ha operato, attivamente o per omissione, cinicamente o ipocritamente, così da far affogare esseri umani. Lo fa ancora, non l’ha mai fatto tanto. La differenza è la più netta: l’accoglienza salve le sue deroghe, o il ripudio salva qualche (retorica) deroga. Non c’è, temo, una terza via.
Proclami a parte, i governi di destra hanno “regolarizzato” più degli altri, e firmato trattati-capestro più degli altri. Gli altri hanno beccheggiato malamente fra dedizione e vanto del soccorso e strette brusche, tese a tagliare l’erba sotto i piedi dei rivali, di fatto regalando loro una prateria. La situazione era in bilico fino a quando la gente nova a 5 stelle non ebbe deciso definitivamente per i subiti guadagni, e anzi era stata o aveva simulato di essere più per la società aperta e l’accoglienza che per la caccia allo straniero; dunque fino all’aprile del 2017, alla precipitazione della convergenza fra il razzismo ancora caricaturale di Salvini, la vanità incresciosa di un alto magistrato di Catania e il pronunciamento di Grillo – “gli oscuri interessi delle Ong” – e di Di Maio – “i taxi del mare”. Si disegnò allora l’alleanza che, formalizzata per fare di Salvini il capo del governo e di Di Maio il cameriere, ha fatto tanto stupire cronisti e commentatori. Era già successo. Si è solo compiuta un’altra tappa, grossa. Una ancora più grossa si prepara, ufficialmente datata alle elezioni europee. Tutto grazie ai migranti.
I buoni dicono, io con loro per quanto posso, che non chiuderebbero mai la porta in faccia a chi bussi e abbia bisogno e sia inseguito. Hanno però eluso la consapevolezza che il mondo non è buono, e nemmeno i buoni: i cattivi sentimenti e le ragionevoli paure stanno anche dentro la loro anima, e finché è possibile si misurano con altri pensieri e sentimenti invece di correre impudicamente in piazza. I buoni non si sono misurati con la guerra poco meno che mondiale del vicinissimo oriente, con i sette anni e mezzo milione di ammazzati della Siria. Non hanno creduto abbastanza nello sforzo di ottenere dalle autorità nazionali ed europee un impegno diverso nell’affrontare il destino dei migranti all’indomani del loro sbarco. Hanno fatto e fanno cose meravigliose per supplire, non abbastanza per evitare l’avvento di qualcosa che non è certo il fascismo, ma è piuttosto come se lo fosse.
Quanto a una classe politica oggi vilipesa e ridicolizzata, fa molto male a invocare il carattere internazionale del rigetto della politica. A farsi piccini, loro e il loro disastro, dietro quello grandioso dell’America di Trump. È un argomento troppo vero per essere giusto e soprattutto utile. Trump poteva perdere – prese, vi ricordate, meno voti di quanti ne abbia presi Hillary. E Hillary poteva avere un’alternativa, che non offrisse alla temperie demagogica il bersaglio di un’ennesima successione dinastica. Poteva perdere la Brexit e già mentre avveniva era dissociata, come i nostri pentiti. Poteva evitare di perdere tutto, un pezzo alla volta, quasi inesorabilmente, quasi deliberatamente, Renzi e il Pd: l’intera amministrazione locale dell’Italia, il paese dei cento e mille campanili, uno alla volta. L’Europa e il mondo sono attraversate da un vento furioso, ma ciascuna singola battaglia può essere combattuta e vinta. Il vento è furioso, ma le battaglie sono state perse per un pelo. Fino a un certo punto, quando l’argine ha ceduto. In Italia l’argine ha ceduto. Ora non si tratta di aspettare e tantomeno di incivilire i barbari. Si tratta di ricostruire, fosse pure con un secchiello e una paletta, con l’autunno che incombe.
Antifascismo per definizione
Parlare di patria è paccottiglia nostalgica e un po' fascista? Non proprio
cortocircuiti Nimby