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Estremismo, non nuova destra

Claudio Cerasa

Il governo sfascista, caro Veltroni, è figlio anche della peggiore sinistra, e non si può continuare a negarlo

Dunque, da dove cominciare? La domanda chiave che una buona parte dell’elettorato non in sintonia con il pensiero estremista si è posta nel corso dell’estate osservando la traiettoria del governo è una domanda semplice, di fronte alla quale in molti tendono però a fuggire, a non rispondere, a nascondersi dietro a un ombrellone.

 

Domanda: questo governo ci fa schifo, ok, ma per non dire che ci fa solo schifo cosa possiamo fare, come possiamo reagire, da dove possiamo cominciare?

 

Ieri su Repubblica, l’ex segretario del Pd Walter Veltroni ha provato a ragionare attorno a questo tema e ha sviluppato un lungo ragionamento il cui succo è questo: “Non chiamiamoli populisti: contro questa destra estrema è l’ora di una nuova sinistra”. Veltroni crede che lo schema per affrontare gli sfascisti sia ricompattare prima di tutto il vecchio centrosinistra e l’ex segretario fa bene a ricordare che non può esistere un progetto alternativo se quel progetto non riparte prima dall’Europa. Ma nel suo ragionamento Veltroni commette un errore grave, che coincide con il fatto che partendo da queste basi sarà impossibile costruire un’alternativa vera al governo estremista. L’errore è questo: “Il populismo è una definizione sbagliata. E’ destra, la peggiore destra”.

 

Veltroni ha ragione quando dice che di fronte a questo governo è troppo semplice cavarsela con l’espressione “populismo” ma sbaglia quando prova ad autoconvincersi che la cifra politica giusta per definire l’esecutivo sia, semplicemente, “la nuova destra”. Sostenere che l’unione tra Salvini e Di Maio sia la spia della nascita di una “nuova destra” significa sottovalutare un dato importante che riguarda tanto la Lega quanto il M5s. Chi da sinistra prova ad attaccare anche con posizioni nobili il governo del cambiamento tende spesso a scaricare le responsabilità dell’estremismo populista sulla Lega, quasi a voler dare ai 5 stelle il tempo di redimersi. Ma il problema, caro Veltroni, è che fino a quando il governo del cambiamento verrà trattato come se fosse la naturale conseguenza di ciò che ha seminato il centrodestra di Berlusconi negli ultimi anni, si continuerà a non capire che il mostro che governa oggi il paese è in realtà un algoritmo del rancore nato più sulla base dell’antiberlusconismo che sulla base del berlusconismo e maturato grazie ad alcune idee diventate popolari anche su spinta di una precisa tradizione progressista. Prima ancora che lo facessero il M5s e la Lega, chi ha trasformato gli avvisi di garanzia in un’arma da utilizzare contro il proprio avversario per condannarlo fino a prova contraria? Prima ancora che lo facessero il M5s e la Lega, chi ha coltivato l’illusione che difendere il diritto allo sputtanamento a colpi di intercettazioni irrilevanti fosse un modo come un altro per difendere il diritto di cronaca? E prima ancora che lo facessero il M5s e la Lega, chi ha contribuito a trasformare la battaglia contro la flessibilità in una battaglia cruciale per sostenere l’occupazione?

 

Provare ad accostare il governo del cambiamento alle esperienze delle destre xenofobe può avere un senso solo isolando da tutto il resto del contesto la linea scelta da Salvini e Di Maio sul tema dei migranti. Eppure, anche su questo fronte, la sinistra che prova a trasformare il governo estremista nel governo delle nuove destre è una sinistra che non fa altro che nascondersi dietro a un ombrellone e che non accetta di costruire il proprio futuro facendo tesoro di alcuni errori del passato. E far tesoro degli errori del passato significa ammettere una cosa semplice: se la grande divisione del mondo oggi è tra chi sceglie l’apertura e chi sceglie la chiusura, scegliere l’apertura solo quando si parla di migranti e non quando si parla di economia significa continuare a fare il gioco del partito della chiusura. La chiusura sul lavoro, e sulla globalizzazione, anche se la Cgil non potrà mai ammetterlo, porta alla chiusura delle frontiere. E senza capire che il governo delle nuove destre è in realtà anche il governo delle vecchie sinistre – vale anche per Rep. – si continuerà a costruire un’alternativa combattendo un avversario immaginario.

 

Non chiamiamolo il governo dei populisti, ok, ma non chiamiamolo neanche il governo delle destre. E’ il governo degli estremismi, sia quelli di destra sia quelli di sinistra. Prima sarà chiaro a tutti, prima sarà possibile ricostruire un’alternativa fondata non sui sogni ma semplicemente sulla realtà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.