Milano, apertura festa dell'unità dallo scalo farini PD (foto LaPresse)

L'estate è già bella che finita, almeno per le Feste dell'Unità

Maurizio Crippa

Là dove c’era militanza e consenso ora si chiude e si va in cerca del popolo

Come il caro vecchio operaio taylorista, specializzato in poche funzioni base (per i critici duri, sostanzialmente due: produrre e consumare), il caro vecchio militante comunista era specializzato in due funzioni: partecipare alla formazione del consenso e partecipare alla produzione-barra-consumo delle Feste dell’Unità. Ma il fordismo è finito, e pure la Ditta se n’è andata da tempo a quel paese. Lo scorso anno la Festa di Bologna ha fatto un buffo di 600 mila euro, così quest’anno si trasloca in scala ridotta. E a Milano erano avanzati persino i panini. In questo scampolo d’estate 2018, che fa seguito alla primavera del grande gelo elettorale, la specializzazione post taylorista del militante-iscritto del Pd s’è ridotta a due funzioni base: litigare all’interno di un partito in fase preagonica per dividersi gli stracci di un consenso che non c’è più, e immalinconirsi per la scomparsa delle Feste dell’Unità. Che un tempo erano volontariato e salamelle, traino popolare e leader da acclamare. Lavoro politico, nel tempo liberato dal lavoro. Anzi c’è una terza funzione che ora va per la maggiore, ed è una iper specializzazione della Festa dell’Unità: lo scoutismo “in uscita” verso sinistra per recuperare il rapporto con il popolo perduto.

  

Se sia la crisi di identità del partito ad aver generato la crisi di consenso, o la crisi di consenso culminata nei fischi sulle bare ad aver determinato una crisi di identità malinconica e crepuscolare come i tavoli deserti sulla piazza, sta ad altri valutare. Ma così, a occhio, lo stato generale delle Feste dell’Unità 2018 è un paesaggio devastato come dopo una tromba d’aria tra gli ombrelloni.

  

Il dibattito interno al Partito democratico è quel che sappiamo, e soprattutto è disarmato di fronte al montare del fragore populista. Non si riesce più a far festa, non c’è motivo per far festa. Tra gli stand di Rignano non hanno invitato ufficialmente nemmeno Matteo Renzi, a Firenze non hanno voluto Maria Elena Boschi, perché ormai ha optato per l’asilo politico a Bolzano. Non ci sarà la Festa dell’Unità a Pisa, già cuore della Toscana rossa, e i motivi tecnici e di sicurezza normativa che ne hanno spento le luci, giustificazione ufficial-burocratica, suonano scusa pudica. E’ che qui ha vinto la Lega, la botta è stata dura.

   

Poi fiaccano i cuori le faide interne, specchio del famoso dibattito precongressuale. Che fanno sì, ad esempio, che a Firenze ci sarà il governatore toscano Enrico Rossi, che però se n’era andato dal partito, con Mdp. E a Bologna sul palco andrà Pier Luigi Bersani, che alla sua Ditta ha detto addio. Alla Festa nazionale di Ravenna inaugurerà il segretario nazionale pro tempore Maurizio Martina, hanno invitato Roberto Fico e pure Giancarlo Giorgetti, ma di big della passata gestione dem, si annuncia penuria.

    

L’anno scorso la Festa nazionale era stata a Imola, ma nel 2018 non si farà più nemmeno quella locale, “una grossa vergogna, una vera umiliazione”. Perché poi c’è quest’altra mania, cioè la terza specializzazione. Il Pd, anziché far festa di suo, con le sue piadine e le sue bandiere, andrà a incontrare i centri sociali, “per ripartire dal basso”. O per racimolare altri fischi, si vedrà. E a Milano, ultimo accerchiato baluardo della sinistra che funziona e governa, quest’anno si farà una “festa diffusa”, in giro per i municipi, le mitiche periferie che hanno votato tutte per Matteo quell’altro, il Salvini. Il titolo scelto per la kermesse itinerante è una citazione bertoliana, che più passatista e reducista, e più lontana dal turborenzismo che s’era identificato, solo pochi anni fa, con il “modello Milano” non si può: “Eppure il vento soffia ancora”. Basta che non soffi troppo forte, altrimenti volano via gli stand, e anche le seggiole di plastica.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"