Il rimorchiatore M5s

David Allegranti

Parte del Pd vuole dialogare con il i grillini per prendere il posto della Lega prima che s’allarghi

Roma. Luigi Di Maio e Giuseppe Conte rischiano di essere travolti dall’iperattivismo di Matteo Salvini, ministro della Tuttologia, pronto a intervenire appunto su tutto: migranti, vaccini, vitalizi, pensioni, gli manca solo il trasferimento di Cristiano Ronaldo alla Juve. Anche perché il governo guidato da un presidente del Consiglio indicato dal M5s non ha fatto pressoché niente in un mese e mezzo, e da ieri il partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio è costretto a festeggiare, tonitruante, l’addio ai vitalizi con l’hashtag #byebye, il #ciaone del 2018 (a Renzi e soci non portò benissimo, diciamo). Peccato che i “vitalizi” siano stati aboliti nel 2012 e che quello del M5s sia solo un ricalcolo pensionistico. Ma questo poco importa: ciò che conta è fare casino. Molti tweet, molto onore.

 

La competizione con la Lega però rischia di non avere esito positivo per i Cinque stelle, convinti – Di Maio in testa – che Salvini punti ad assorbire l’elettorato di centrodestra di Forza Italia e quello di destra di Fratelli d’Italia e a liberarsi degli alleati una volta raggiunto un certo grado di autonomia politica, magari in concomitanza con le elezioni europee. C’è però una possibilità per il M5s: il “soccorso rosso” del Pd. Nel partito guidato da Maurizio Martina è stato riaperto il dialogo con il M5s, forse mai interrotto. 

 

Non tanto da Martina quanto dagli altri dirigenti del Pd. “Matteo Salvini e il Movimento 5 stelle non sono la stessa cosa perché Salvini è la destra estrema, reazionaria e pericolosa. Invece più della metà degli elettori dei 5 stelle erano nostri elettori fino a pochi mesi o anni fa”, ha detto nei giorni scorsi Dario Franceschini. “Per questo non dovremo chiudere completamente la porta” al Movimento 5 stelle, “ma abbiamo il dovere di mantenere uno spiraglio. C’è bisogno di fare emergere le contraddizioni in questo schieramento così improbabile”. In politica, ha aggiunto l’ex segretario del Pd, “esiste il contenimento del danno. Sapevamo chi era Salvini e dovevamo fare di tutto per non consegnargli il paese, per l’Italia e per l’Europa”.

 

Dopo le elezioni del 4 marzo, ha aggiunto Franceschini, “non dovevamo dire che c’erano due vincitori che dovevano governare insieme. Così abbiamo lavorato per spingere i Cinque stelle in braccio a Salvini. Dovevamo sederci a quel tavolo e cercare di strappargli i Cinque stelle”. Invece “abbiamo buttato l’Italia, uno dei fondatori dell’Europa, in mano a Salvini”. Franceschini non è l’unico. Anche secondo Andrea Orlando la strategia è separare il M5s dalla Lega. “Noi – ha detto a proposito del decreto retoricamente chiamato “dignità” da Di Maio – dobbiamo fare da sponda ai grillini quando fanno cose di sinistra, perché dobbiamo puntare a staccarli dalla Lega. E questo decreto incide negativamente sulla base sociale del Carroccio, perciò perché dovremmo cavargli le castagne dal fuoco dicendogli solo dei no?”. Michele Emiliano e Francesco Boccia hanno storicamente posizioni filogrilline, già ai tempi della nascita del governo si erano esposti pubblicamente per un accordo fra Pd e Cinque stelle organico e strutturato.

 

Adesso però, e qui sta la novità, anche tra i diversamente renziani c’è chi vorrebbe interloquire con il M5s. Come il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, potenziale candidato al congresso del Pd. “Io penso che noi dobbiamo dialogare certamente con i 5 stelle, perché questo dialogo è utile al paese”, ha detto l’ex ministro dei Trasporti. “Con la Lega non ci sono le condizioni per un dialogo vero, sui provvedimenti. Con i 5 Stelle ci potrebbero essere. Ma dipende molto se loro non si schiacciano sulla Lega. Perché questo è il punto. Questo governo ormai ha un’agenda dettata continuamente dalle esternazioni, dalle promesse di Salvini”. Una parte del Pd dunque vorrebbe prendere il posto della Lega, prima che la Lega si allarghi troppo. “Ormai è ufficiale”, dice Giuliano da Empoli. “Il Pd non farà l’opposizione perché una parte dei suoi dirigenti ritiene che dovrebbe allearsi con il principale partito di governo – e lo dichiara apertamente. Good night and good luck”. Aggiunge lo scrittore vicino a Matteo Renzi: “Mi pare evidente che in Italia esista l’immensa, insoddisfatta domanda di un’opposizione implacabile che sia anche in grado di costruire un’alternativa credibile al governo dei trumpisti allo sbaraglio, mentre non mi sembra che ci sia alcuna domanda – o spazio politico – per una stampella cattocomunista all’algoritmo grillino”.

 

Dopo l’estate l’argomento entrerà nel dibattito pubblico del Pd più o meno pronto a celebrare il nuovo Congresso (si terrà entro le europee ma non prima della fine del 2018). Sarà insomma materia congressuale e le candidature potrebbero anche rispecchiare due linee contrapposte sul tema. A quel punto diventerebbe un duello tra chi è a favore del dialogo con il M5s e chi è contro. Se però l’incontro dovesse concretizzarsi, il Pd rischierebbe di ricoprire il ruolo del M5s di oggi, che va a rimorchio della Lega, inseguendolo nella gara a chi la spara più grossa. E il partito di Grillo e Casaleggio non vede l’ora di uscire dallo stato di subalternità politica in cui s’è infilato da quando è nato il governo Conte.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.