Una scritta contro il sindaco di Roma nel quartiere Talenti. Foto LaPresse

Ecco come Di Maio ora spera di liberarsi del cataclisma Raggi

Salvatore Merlo

Alle elezioni romane il M5s è non pervenuto. La sindaca se la prende con i suoi assessori. Ma il Movimento se la prende con lei

Roma. Prometteva asfalto magico per coprire le buche, sognava il rosmarino per nascondere l’odore di monnezza fermentata e voleva le pecorelle per tosare l’erba di parchi pubblici non dissimili a una giungla. Intanto per le strade, a Ostia come a viale Marconi, qualche disperato incivile cominciava a dar fuoco ai cassonetti stracolmi, e Beppe Grillo, in un’incredibile nemesi, cascava in una buca stradale urlando, come un povero romano qualsiasi: “Ma le vogliamo mettere a posto o no ’ste buche?”. E tutto questo mentre lei, la sindaca, diceva di aver ereditato un disastro dalle passate amministrazioni, e torcendosi le mani s’interrogava: “Possibile che non ci sia mai nulla di positivo su cui scrivere?”. Dopo due anni di governo, dopo la napoleonica vittoria del 2016, Virginia Raggi perde le elezioni nel III e nell’VIII municipio di Roma, trecentomila abitanti. Il Movimento cinque stelle che aveva conquistato il settanta per cento dei voti in città non arriva nemmeno al ballottaggio. 

  

E in Campidoglio, come al governo, dov’è assiso Luigi Di Maio, squillano d’improvviso tutti gli allarmi e tutti i campanelli, perché è forse vero che il Movimento cinque stelle va sempre abbastanza male alle amministrative – e questa tornata lo conferma oltremodo – ma il caso di Roma suona come un limpido preavviso di sfratto per la giunta grillina. E lo hanno capito tutti. Non solo Di Maio, da tempo insofferente nei confronti di Virginia Raggi, che lui ha preso a guardare con la stessa espressione che riserverebbe a una lumaca nell’insalata.

  

Dicono infatti che in cuor suo il neo ministro, e capo politico del M5s, speri che la sindaca sia condannata al processo per falso che la vedrà sul banco degli imputati dal 21 giugno. “Ce la toglieremmo da davanti”, pare abbia detto, sbuffando. D’altra parte il Movimento è in preda a una sovreccitazione simile a quella che si respira a teatro dopo il primo atto d’una disastrosa prova generale. Mentre la sinistra si riscopre viva, e guidata da Luca Zingaretti, il presidente del Lazio che con i Cinque stelle parla e sigla taciti accordi, stabilisce di non attaccare né la Raggi né il Movimento. “E’ con i loro voti che vinciamo”. Contro la destra. Contro Matteo Salvini, che sembra aver rimesso in piedi il vecchio bipolarismo, la vecchia categoria della politica che adesso spiazza il gigantesco vaffa rivolto sia alla destra sia alla sinistra “che non hanno più senso”. E’ davvero così?

   

Tra domenica notte e lunedì mattina, via via che i risultati si consolidavano lasciando intravvedere l’abisso, i parlamentari romani del M5s, Paola Taverna, Stefano Vignaroli e la capogruppo in regione Lazio Roberta Lombardi, si scambiavano messaggi cupi e dal tono stravolto. “Ripartiamo da un nuovo staff per gli enti locali e per i gruppi territoriali”, twittava Lombardi, riconoscendo l’inoccultabile débâcle.

 

E allora i parlamentari mettono sotto accusa la Raggi, mentre la Raggi a sua volta, assecondando quel principio secondo il quale le colpe rotolano sempre verso il basso, convoca la sua squadra di governo. “Bisogna cacciare qualcuno”, è la frase che le attribuiscono nei corridoi del Palazzo antico e fastoso che ospita le stanze del sindaco di Roma. Così, sotto il sole del primo pomeriggio, su piazza del Campidoglio, mentre i vigili fumano e guardano le gambe delle turiste, ecco che alla spicciolata cominciano ad arrivare gli uomini della giunta Raggi. Il nuovo assessore al commercio Carlo Cafarotti, in blu Banca d’Italia, il vicesindaco Luca Bergamo in jeans e barba di un paio di giorni, l’assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari, gonna a fiori e zainetto. Scendono dalle piccole Renault bianche del parco macchine del comune. Si fanno largo tra giapponesi e americani in gita, inforcano le scale sotto la sguardo della Lupa e si gettano nel palazzo come dentro a uno specchio. Da un ingresso laterale, e più riservato, passano invece Linda Meleo e Margherita Gatta, rispettivamente assessore ai Trasporti e assessore ai Lavori pubblici. Sanno di essere sotto accusa. La sindaca cerca qualcuno a cui dare le colpe che lei non può assumersi. “Dobbiamo impegnarci di più sul decoro, sui lavori pubblici e sui trasporti”, dice la Raggi, che vorrebbe nuovi poteri e soprattutto soldi dal governo amico. Ma Di Maio preferirebbe non farsi coinvolgere in quell’immobile disastro chiamato Roma. “Se la condannassero…”. Il Movimento ritirerebbe il simbolo. Con un sospiro di sollievo. E ciascuno per la sua strada.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.