Senatori M5s (foto LaPresse)

Senato a 5 stelle

Valerio Valentini

Controllo preventivo via email dei discorsi in Aula. Di Maio teme i suoi a Palazzo Madama?

Roma. La mail, ai senatori del M5s, è arrivata lunedì pomeriggio, inviata dalla segreteria del gruppo a Palazzo Madama. Era la vigilia del debutto in Aula di Giuseppe Conte, e l’occasione evidentemente richiedeva d’imporre regole nuove, rispetto al solito. Una su tutte: un controllo preventivo dei testi che i portavoce del M5s – i pochi autorizzati, almeno – avrebbero poi pronunciato durante il dibattito.

 

Il testo del messaggio, spedito ai “cari colleghi” del Senato, parlava chiaro. E informava, innanzitutto, che “se il numero delle richieste di iscrizione a parlare supererà il numero degli interventi previsti, il direttivo stabilirà l’ordine stesso sulla base delle esigenze di gestione dell’Aula”. Stranezza notata da parecchi, tra i senatori grillini, dacché in passato per stabilire la scaletta non era mai intervenuto, in modo arbitrario, il direttivo – ovvero la squadra ristretta, nominata su designazione diretta di Luigi Di Maio, composta dal capogruppo, dal vice vicario e dagli altri quattro vice, dai tre segretari e dal tesoriere – ma ci si era invece sempre basati su princìpi più trasparenti: e cioè per primi parlavano i membri della commissione coinvolta, e poi i più lesti a prenotarsi. Stavolta no. E del resto, il timore che deve avere colto, alla vigilia del voto di fiducia del nuovo governo gialloverde, i vertici pentastellati, lo si capisce bene scorrendo il resto della email. Ai senatori che “riceveranno conferma delle iscrizioni a parlare”, infatti, veniva imposto un altro – questo sì, davvero bizzarro – obbligo: “Dovranno condividere”, si leggeva nel messaggio, “il testo, utilizzando questa email, entro e non oltre le ore 10 di domani martedì 5 giugno, in modo da evitare eventuali incongruenze con gli altri interventi del Gruppo”.

 

E viene da pensare che i primi a essere consapevoli dell’anomalia dell’ordine fossero proprio i membri del direttivo, se essi stessi ci tenevano a precisare che “il ruolo di Gruppo di maggioranza relativa e di sostegno al Governo richiama tutti alla responsabilità per gli interventi in Aula e le relative iscrizioni a parlare”. Una formula un po’ politichese per chiarire che no, d’ora in avanti eventuali scantonamenti rispetto alla linea dettata dall’alto non verranno più tollerati. Una forma di censura non proprio in linea con lo spirito dell’articolo 67 della Costituzione, che d’altronde non deve essere tra i più amati da parte di chi vuole introdurre il vincolo di mandato. E insomma: meglio sedare il dissenso, meglio prevenire le polemiche. E non è un caso che questo sia avvenuto innanzitutto al Senato, luogo d’incubazione prima, e di sviluppo poi, dei malesseri interni. Quello di Palazzo Madama è senz’altro, e ormai da anni, il gruppo più irrequieto, che Di Maio & Co. fanno grande fatica a controllare. Non a caso erano tutti senatori quei cinquanta carbonari che a tarda sera, il 30 maggio scorso, si sono riuniti in un incontro sedizioso – dai quali erano stati tenuti lontani sia il capogruppo Danilo Toninelli sia l’altro fedelissimo del capo, Vito Crimi – per protestare contro la gestione leaderistica di Di Maio e della sua sua équipe di sedicenti strateghi. I quali significativamente, nel dover scegliere il sostituto del neo ministro delle Infrastrutture, hanno optato per Stefano Patuanelli. “Persona perbene”, “ottimo ragazzo” a detta di tutti, il nuovo capogruppo a Palazzo Madama, scelto da Di Maio in persona, a norma di regolamento interno, nel pieno rispetto – ça va sans dire – del principio dell’“uno vale uno”. Ottimo ragazzo, dunque, che però agli occhi del capo, il quale pure il quarantottenne ingegnere civile triestino lo conosce e lo stima da tempo, ha soprattutto un merito: l’essere, almeno formalmente, estraneo al gioco perverso delle correnti interne, e dunque non riconducibile a nessuna delle due fazioni – i “governisti” vicini a Di Maio, e i “movimentisti” seguaci di Roberto Fico, assai delusi da questo accordo di governo con la Lega – che sempre meno segretamente si combattono, che sempre più a fatica si sopportano.

 

Ecco allora il senso di promuovere a capogruppo un neofita del Palazzo, un ex consigliere comunale che nel 2016 ha astutamente rifiutato una comoda quanto inutile candidatura a sindaco della sua Trieste per conservarsi la possibilità di un secondo mandato, più prestigioso. E il disegno s’è compiuto il 4 marzo, quando Patuanelli è stato eletto al Senato. E ora, dopo una manciata appena di sedute in Aula – “quando ancora non ha avuto modo di conoscerci, né di farsi conoscere” protesta subito un suo collega, ben più navigato – si ritroverà a dovere guidare un gruppo in subbuglio. “Luigi – spiega un senatore – voleva trovare un uomo di sua fiducia che non fosse compromesso” nella lotta tra le frazioni, così da “non esasperare le tensioni”. Insomma Di Maio, prosegue una collega grillina, “cerca di scrivere ora, qui al Senato, un libro bianco”. E chissà se anche per scrivere su quello, ci sarà prima bisogno di inviare il testo ai grandi capi.

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