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Assecondare fino in fondo la corrente? No, la politica può ancora dare qualcosa

Giuliano Ferrara

La crisi della politica si vede solo quando il ragionevole è sostituito dall'ardore eccitante della stupidità, quando fare i governi diventa una lotteria senza numeri vincenti

Scriverei, se non lo amassi, se non fossi un seguace umile della sua splendida lingua italiana, se non mi fossi sempre comportato da entusiasta delle sue virtù personali, del suo disinteresse, della sua preziosa ma incandescente personalità e sobrietà, dote eroica in Italia, scriverei: ma non si vergogna ora un poco Alfonso Berardinelli di aver votato per i grillozzi? Lo annunciò qui quel voto, dopo le elezioni, con un’armatura di argomenti tanto povera da risultare ricchissima, ai confini della profezia: voleva che si andasse fino in fondo, una buona volta. Il suo gesto mi è tornato alla mente leggendo la chiusa di un buon testo sulla Stampa di Giovanni Orsina: la “crisi della politica è così grave da far maturare a molti elettori la convinzione non del tutto irragionevole, ma di certo assai pericolosa, che l’unico modo per uscirne non sia resistere o tornare indietro, ma assecondare fino in fondo la corrente”.

 

Io sono invece “tendenza Cerasa”, e mi abbevero al suo manuale di resistenza allo sfascismo, ma questo alla fine conta poco, si può resistere anche mandando al diavolo le conseguenze dei propri atti, un’etica della convinzione che può portare al nullismo, alla caparbia volontà di affrontare il peggio, costi quel che costi. Ciò che oggi dovrebbe provocare rossore, la promozione di un grillozzo al rango di presidente del Consiglio virtuale, con gli effetti che si conoscono ormai anche troppo bene, è stato ieri un legittimo manuale di resa senza discrezione, una ritirata non strategica, la presa d’atto di una Caporetto delle istituzioni che non parlano più, hanno il mutismo come stile, e se parlano parlano troppo e male. Quindi il tema non è la responsabilità civile o la vergogna, il tema non è la canagliesca, inaudita intrattabilità della demenza demagogica, il tema vero è la crisi della politica, fin dove possa portare.

 

Edward Said, uno dei maggiori intellettuali del Novecento, diceva: “Non ho ancora capito che cosa voglia dire amare un paese”. Era la forma estrema del suo cosmopolitismo e della sua battaglia contro grandi fantasmi ideologici come il nazionalismo, nei quali comprendeva il sionismo, mettendosi sistematicamente dalla parte dei palestinesi cacciati dalla loro terra, costasse quel che costasse alla sua intelligenza brillante ma cinica delle cose. In effetti l’amore dell’Italia è oggi, trasportando altrove il significato di quanto Said ebbe a dire, un groviglio incomprensibile di sentimenti che si negano, di idee che non coagulano. Non è il trasformismo banale che mi preoccupa, ma la sua parodia. Non l’effetto spettacolo, ma il circo Grillo con le sue acrobazie intorno all’euro, moneta sonante e risonante. Non mi mette certo in ansia una sconfitta elettorale, ma la sua inutilità, la sua vanità, il suo effetto derisorio per chi ci ha creduto e per chi no.

 

Se ogni serietà è perduta nei meandri dei finti forni, dell’incapacità manovriera, dell’orgoglio di casta di una società di consulting e management, se siamo appesi a simili oratori politici, a retoriche così spiegazzate, a cifre insulse, a interessi non definiti, al brodo dei talk show, se siamo messi così, è perché molti italiani – e la demenza è un aspetto della profezia, notoriamente – hanno deciso di farsi visitare dal turbine di inintelligenza iniziatosi con un fatale vaffanculo. Ed è angoscioso pensare che questo sia stato il riflesso automatico nell’urna anche delle migliori fra le intelligenze, o alcune tra di esse.

 

E mi domando. E’ davvero una crisi della politica, con i suoi indici monodimensionali in risalita, con la sua proposta di autoriforma del sistema istituzionale dopo trent’anni di chiacchiere, dopo tutto e il contrario di tutto, è veramente questa la causa del trambusto di derelizione in cui ci troviamo? La mia risposta, se Orsina e Berardinelli me lo consentono, è un bel “no”. L’ha dato, quel poco che poteva dare la politica dopo la fine dei partiti, l’ha dato. Berlusconi fu una trovata mica male. Perfino l’Ulivo e D’Alema, questa duale maledizione della sinistra italiana delle élite, hanno avuto un senso. Renzi ha applicato uno schema interessante e nuovo, prefigurando quel che in Francia è in corso ma in un contenitore che era evidentemente inservibile allo scopo, e che l’ha tradito. Certo, le responsabilità del disastro sono diffuse, nessuno di noi, anche gli scribacchini o i televisionisti o i chattatori, ne è escluso per definizione. Ma la crisi della politica, come la Nottola di Minerva, è un volatile che si alza sul far della sera, la si vede solo quando il ragionevole è sostituito dall’ardore eccitante della stupidità, quando l’uomo e la donna diventano masse manipolabili, quando fare i governi diventa una lotteria senza numeri vincenti, la famosa fessa in mano ai guaglioni. Vogliamo ripensarci?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.