L'aula del Senato (foto LaPresse)

A brache calate verso il vincolo di mandato?

Rocco Todero

Nel nuovo regolamento del Senato alcune importanti concessioni alla retorica del trasformismo parlamentare e alle pressioni populiste anti casta del M5S

All’inizio degli anni venti del secolo scorso il costituzionalista Gaspare Ambrosini impiegava l’espressione “gruppo dei selvaggi” per indicare il raggruppamento parlamentare misto, composto da tutti quei deputati del Regno d’Italia che non avevano manifestato, all’atto della proclamazione, una vera e propria affiliazione politica ad un qualche partito di massa fra quelli che cominciavano a contendersi i favori di un elettorato oramai sufficientemente rappresentativo dell’intera Nazione.

 

La locuzione, non proprio elogiativa, utilizzata dallo studioso (poi diventato padre costituente oltre che quarto Presidente della Corte costituzionale italiana) segnalava la trasformazione del regime parlamentare di stampo ottocentesco, fondato sull’individualismo e sul legame territoriale fra eletto ed elettore, in un assetto democratico eretto, invece, sul dominio dei partiti di massa all’interno delle istituzioni e sul conseguente legame di assoluta fedeltà fra l’eletto e l’organizzazione politica che lo stesso aveva prescelto.

 

Selvaggi, pertanto, erano considerati tutti quei deputati che, da un lato, non si irreggimentavano all’interno dei gruppi parlamentari rappresentativi delle organizzazioni politiche che disciplinavano il consenso di milioni di elettori e, dall’altro, disconoscevano il vincolo di mandato, che l’affiliazione politica invece presupponeva, a quel punto, abbastanza esplicitamente. I regolamenti parlamentari del 1920, infatti, prevedevano per ciascun deputato la facoltà d’iscriversi ad un gruppo sulla base della propria appartenenza politica o di finire scaraventato direttamente all’intero del gruppo misto.

 

La possibilità di costituire gruppi parlamentari svincolati dai partiti politici che partecipavano alle elezioni è stata, di contro, prevista dai regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in ossequio all’entrata in vigore dell’articolo 67 della Costituzione secondo il quale, come è noto, ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

 

E’ ragionevole pensare che la necessità di rispettare il divieto di vincolo di mandato e di non dotare i partiti politici del potere di annichilire il dissenso individuale, abbia indotto in epoca repubblicana i due rami del Parlamento a non vedere di buon occhio qualsiasi limitazione della possibilità di costituire gruppi parlamentari slegati dai partiti politici che hanno partecipato alle elezioni, così come ogni genere di sanzione per il deputato o senatore che decidesse di abbandonare il gruppo espressione del partito con il quale è stato eletto.

 

La retorica dell’antipolitica e del trasformismo parlamentare, che negli ultimi anni ha martellato incessantemente l’opinione pubblica, ha preso di mira, però, proprio il divieto del vincolo di mandato ed ha aggredito un caposaldo della nostra Costituzione, sopratutto grazie all’azione del Movimento cinque stelle capitanato dal comico Beppe Grillo.

 

A fronte dell’apparente resistenza, in difesa di un principio fondamentale delle democrazie rappresentative, le altre forze politiche hanno invece acconsentito ad un consistente cedimento alle pressioni populiste anti casta in occasione della revisione del regolamento parlamentare del Senato della Repubblica del 20 dicembre 2017 che è entrata in vigore proprio con l’insediamento successivo alla celebrazione delle elezioni dello scorso 4 marzo.

 

Il nuovo regolamento ritorna alla disciplina del 1920 e ricolloca il partito politico alla sommità di un potere pressoché senza limiti nei confronti del singolo parlamentare.

 

E’ previsto, infatti, che ciascun gruppo debba essere composto da almeno dieci senatori che rappresentino un partito o movimento politico…che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di senatori, altrimenti per coloro che non abbiano dichiarato di volere appartenere ad un gruppo così formato non rimane altra possibilità che confluire nel Misto.

 

Secondo le nuove disposizioni, poi, i vicepresidenti e i segretari che entreranno a far parte di un Gruppo parlamentare diverso da quello al quale appartenevano al momento dell’elezione decadranno dall’incarico, così come i componenti dell’Ufficio di Presidenza che dovessero abbandonare il gruppo d’appartenenza originariamente prescelto.

 

Si tratta, come è facile osservare, di norme regolamentari che solo apparentemente salvaguardano il divieto di vincolo di mandato codificato dall’articolo 67 della Costituzione, ma che, in realtà, potrebbero rappresentare l’inizio di una deriva irrecuperabile. Nel silenzio generale.