Foto LaPresse

Il tema “vincolo di mandato” investe Roberto Fico (via lettera di Magi)

Marianna Rizzini

Lo statuto del gruppo parlamentare del M5s prevede per gli eventuali parlamentari che decidano di cambiare gruppo una multa da centomila euro, ma com’è noto è in contrasto con l’articolo 67 della Costituzione. Giuristi a confronto

Roma. Può un movimento che non voleva dirsi partito, ma che come “partito di fatto” si candida a governare, mostrarsi con una faccia all’esterno e con un’altra al suo interno? E che cosa succede se le sue regole interne presentano un picco di non democrazia o di contrasto con la Costituzione?

 

Lo statuto del gruppo parlamentare del M5s prevede per gli eventuali parlamentari che decidano di cambiare gruppo una multa da centomila euro, ma com’è noto quel comma è in contrasto con l’articolo 67 della Costituzione (“ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”). Il M5s, oggi, esprime tra l’altro il presidente della Camera (Roberto Fico). E proprio a Roberto Fico ha scritto, due giorni fa, il deputato di +Europa Riccardo Magi, con una lettera aperta in cui chiede al presidente della Camera “quali iniziative intenda adottare perché i principi costituzionali vigenti vengano rispettati” in primis nell’istituzione che presiede. “Sancire la fedeltà al partito non va nell’interesse dei cittadini ma del partito stesso”, dice Magi. “Rappresentare la nazione significa rispondere al principio della genuina e libera formazione del convincimento di voto. La possibilità che uno o più parlamentari iscritti al gruppo del M5s agisca con la paura di essere sanzionato per le proprie scelte in Parlamento è inaccettabile e svuota la funzione del parlamentare così come prevista dalla Costituzione. Da presidente della Camera, Fico deve assumere ogni iniziativa utile a scongiurare il rischio, prima ancora dell’eventuale intervento di un giudice civile o di giudice costituzionale, che, chiamati a decidere, non potrebbero che considerare la norma dello statuto del gruppo del M5s giuridicamente non vincolante”.

 

Non è la prima volta che il tema “dell’incostituzionalità” intrinseca di quella norma viene alla luce (anche rispetto all’articolo 21 sulla libertà di pensiero). Ma è la prima volta che il M5s si trova, proprio in quanto in corsa per il governo, a non poter più eludere ombre e aporie.

 

Intanto, alla luce della lettera di Magi a Fico, la questione “articolo 67”, sottoposta a giuristi e costituzionalisti, assume la forma della possibile occasione che avrebbe il M5s di chiarire la propria identità. Dice per esempio il professor Salvatore Curreri, docente di Diritto costituzionale a Enna: “L’obbligo di pagare la penale, essendo appunto il parlamentare tutelato dall’articolo 67, diventa per così dire carta straccia, caso evidente di sanzione inapplicabile. Ma il vero problema è un altro, e riguarda i requisiti minimi di democrazia interna oggi richiesti a un partito che si presenti a elezioni ed elegga dei rappresentanti. E non si possono considerare disgiunti il gruppo parlamentare e il partito, e dico partito perché il Movimento cinque stelle di fatto lo è, al punto che si è dovuto dotare di uno statuto per partecipare a elezioni. Il gruppo parlamentare è proiezione del partito: non può applicare al suo interno regole non democratiche. Se lo facessero gli altri partiti, il M5s si solleverebbe come un sol uomo”. “Non molto democratica”, dice Curreri, “è stata anche la nomina dei capigruppo imposti dall’alto. Il tema politico-giuridico che si pone ora è dunque quello dell’opacità. Se non si è democratici all’interno come all’esterno, come diceva Aldo Moro, tutto si riduce a una corsa per la conquista del potere”. Per Gino Scaccia, invece, docente di Diritto costituzionale all’Università Luiss Guido Carli, “fino a che i partiti – questione mai davvero affrontata – non chiariranno formalmente la propria natura di organismi ibridi, sospesi tra piano privato e piano pubblico, resteranno dal punto di vista formale associazioni ancorate al versante privatistico. Si può dire che sarebbe auspicabile che il M5s eliminasse quel comma dello statuto, dopodiché, per quanto urticante ciò possa essere, si è oggi in presenza di un contratto di tipo privatistico, accettato dal candidato poi eletto. Che, come parlamentare, è protetto dall’articolo 67 nella sua libertà di esercizio del mandato, e che però, rispetto all’associazione privata, è tenuto al pagamento di una penale. Prima insomma è necessario sviscerare la scivolosa questione a monte: di che natura è il contratto firmato dal parlamentare a Cinque stelle?”. Ma che cosa dovrebbe fare ora Roberto Fico? L’avvocato Gianluigi Pellegrino, esperto di Diritto amministrativo e con lunga esperienza nel campo delle battaglie “antipartitocrazia”, dice che a questo punto il neopresidente della Camera, in quanto tale e in quanto esponente di primo piano di una forza che aspira al governo, dovrebbe “ergersi a presidio dell’istituzione e vigilare affinché ogni parlamentare si senta libero nell’esercizio del mandato. Di più non si può pretendere, di meno neanche”.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.