Stefano Buffagni e Dario Violi (M5s) durante un Consiglio regionale lombardo. Foto LaPresse

La sintonia tra Lega e M5s c'è già da tempo

Valerio Valentini

In Veneto e Lombardia le truppe del Carroccio e quelle dei pentastellati hanno già rotto il tabù, complice il tema dell'autonomia

Roma. Ora tutti a meravigliarsi: chi l’avrebbe mai detto? Constatata ormai la vicinanza, mai così evidente, tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in tanti restano sbigottiti. Eppure, a ben vedere, esempi di sostanziali sintonie tra Lega e M5s, perfino su temi cruciali, esistevano già. E i laboratori di questo connubio giallo-verde non erano neppure così invisibili: si tratta di due tra le regioni più grandi e produttive d’Italia, governate, manco a dirlo, proprio dalla Lega. In Veneto e Lombardia le truppe del Carroccio e quelle dei pentastellati da tempo hanno rotto il tabù: da quando, cioè, nei due consigli regionali è arrivato il problema dell’autonomia.

   

Roberto Maroni, dell’affidabilità dei Cinquestelle, in questo senso, ha potuto avere prova diretta. Era il febbraio del 2015 quando il governatore leghista si trovò in un vicolo cieco: per indire il referendum autonomista, quello che poi si sarebbe celebrato il 22 ottobre del 2017, serviva la maggioranza dei due terzi dell’aula del Pirellone, e il Pd annunciò sin dall’inizio di non volerci stare. A garantire al centrodestra leghista il sostegno necessario ci pensò allora Stefano Buffagni, il più influente del gruppo regionale di allora - non a caso entrato, proprio mentre le trattative nazionali con la Lega entravano nella fase più delicata, nell’inner circle di Luigi Di Maio. Al momento della conta, i voti grillini non mancarono: e l’intesa si saldò.

  

In Veneto la vicenda fu più complessa, se non altro perché una parte del M5s lì si ribellò all’idea di andare a rimorchio dei rivali di un tempo. Ma valse a poco: la linea, dettata dal Sacro Blog, era chiara: “Sì al referendum in Lombardia e Veneto”, che permette “di gestire ‘in casa’ molte delle risorse che ora è lo Stato a decidere come spendere”. La minoranza interna masticò amaro - nel mentre che l’irreprensibile “staff” prendeva nota sui nomi dei contestatori più sfacciati, alcuni dei quali, puntualmente, si ritrovarono poi esclusi dalle liste delle parlamentarie in vista del 4 marzo - ma alla fine il M5s appoggiò il progetto di Luca Zaia. Ed è tornato a farlo anche martedì scorso, quando una pattuglia di parlamentari grillini si sono presentati all’incontro organizzato a Venezia dal governatore leghista, insieme a delegazioni di altri partiti (Pd compreso). Motivo dell’evento? Ribadire la volontà trasversale di riaprire le trattative sull’autonomia il prima possibile, indipendentemente dal colore del nascituro governo.

  

E certo qualche perplessità sorge, a vedere come il tema su cui i Cinquestelle si uniscono alla Lega è quello dell’autonomia delle regioni settentrionali, proprio loro che ormai sono il nuovo partito del Sud, quello che al Mezzogiorno ha raccolto percentuali bulgare. Incoerenza? Il capogruppo M5s in Veneto, Jacopo Berti, non vede alcun paradosso. “Un governo a Cinquestelle sosterrebbe senz’altro l’autonomia delle nostre regioni, come di qualsiasi altra che volesse farlo nel rispetto della Costituzione”. E la retorica leghista sul sud sprecone? Il senatore siciliano, Michele Giarrusso, scrolla le spalle: “Un conto è la politica, un’altra gli insulti”. Detto da lui, che di improperi ai suoi rivali non ne ha mai lesinati, c’è da fidarsi.

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