Il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina (foto LaPresse)

Il piano B del Pd

David Allegranti

I progetti del Partito democratico per trasformare i quattro punti di “opposizione” in una trattativa per il governo

Roma. Il primo giro di consultazioni per far nascere il governo è andato a vuoto e si affacciano dunque alcuni “piani B”. Uno di questi coinvolge il Pd, come si capisce da certe dichiarazioni del reggente Maurizio Martina, che prima ha definito “molto difficile” il percorso per un eventuale esecutivo in cui ci siano Pd e M5s (“difficile”, non impossibile) e si è presentato alle consultazioni al Colle con una lista di quattro punti per fare, ha detto, opposizione “da protagonisti”.

 

“Sui quattro snodi di interesse generale il Pd eserciterà fino in fondo la sua funzione nel suo ruolo di opposizione. I 4 punti: taglio del costo del lavoro e reddito di inclusione; controllo della finanza pubblica; gestione del fenomeno migratorio; rafforzamento del quadro internazionale”. La prima questione, dice Martina, “è quella sociale con la lotta alle diseguaglianze. Penso poi al taglio del costo del lavoro, la riduzione del cuneo fiscale e più in generale il percorso di stabilizzazione dei lavoratori. Siamo pronti a proporre il reddito di inclusione che consente a tanti di avere un primo sostegno di contrasto alla povertà, è meglio fare questo piuttosto che vagheggiare soluzioni irrealistiche. Presenteremo una proposta per l’assegno universale per i figli che integra il lavoro fatto con il reddito di inclusione”.

 

Poco però ci vorrebbe a trasformare i quattro punti di “opposizione” in una trattativa per il governo. D’altronde Martina si appena candidato per la guida del Pd e conta di avere il sostegno della parte trattativista, da Dario Franceschini in giù, che non apprezza la linea dell’opposizione a ogni costo scelta da Matteo Renzi e soci. Per questo anche Martina tiene aperti due forni in questo momento. Dice l’orlandiano Antonio Misiani al Foglio: “Sarebbe da irresponsabili sottrarsi pregiudizialmente a un appello del capo dello stato”. Appello che potrebbe arrivare qualora l’accordo fra Lega e M5s (e Forza Italia?) alla fine non dovesse concretizzarsi. Ci sono però alcuni snodi da tenere in considerazione. Una è l’assemblea del Pd del 21 aprile – assemblea voluta da Martina e non da Matteo Renzi, che anzi si era opposto all’idea di eleggere il suo successore in assemblea e non al congresso – quando si capiranno meglio i rapporti di forza tra i Democratici e quindi la linea che prevarrà: quella dei trattativisti o quella di chi dice no a ogni costo? Altro snodo sono le prospettive che riguardano la natura del Pd. C’è chi propone soluzioni macroniane, come Sandro Gozi, secondo il quale servirebbe una En Marche anche in Italia, e non è chiaro se Renzi stesso voglia approfittare del dibattito sul governo per far nascere una cosa sua, chissà quando, magari, come diceva Marcello Pera al Foglio qualche giorno fa, insieme alla parte di Forza Italia che non vuole morire salviniana. “Più che una prospettiva Macron, mi pare una prospettiva micron”, dice ridendo Misiani.

 

“Nessun punto di contatto”

Nel Pd insomma c’è effettivamente un dibattito, che diventa meno sotterraneo giorno dopo giorno e che potrebbe esplodere con tutte le sue contraddizioni nei prossimi giorni. Sempre che, naturalmente, l’ipotesi di governo M5s-Lega non regga alla prova delle consultazioni. “Sì – dice Fausto Raciti al Foglio – Anche nel Pd c’è chi dice che dovremmo fare un governo con i Cinque stelle. Io però continuo a non intravederlo. Dovremmo allearci con chi dice indistintamente Pd o Lega come se fossero la stessa cosa? Con chi vuole una stretta securitaria per il paese? No grazie, non ci interessa. Anzi, io penso che serva una revisione critica delle politiche del governo. Non ci interessa il reddito di cittadinanza, perché non siamo per l’assistenza. E anche sulla collocazione internazionale, ci sono posizioni radicalmente diverse”. Quindi, dice Raciti, “io non lo vedo il punto di contatto fra noi e loro ed è del tutto fisiologico che non ci sia. È come se il Partito comunista e il Msi pur di fare un governo fossero stati chiamati alla responsabilità. Anche in Germania, dove c’è una forte cultura proporzionale, più forte che in Italia, i Verdi e i liberali hanno detto no all’abbraccio con la Merkel”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.