Pera ci spiega perché Berlusconi non può che dire sì a Lega e M5s

David Allegranti

“Salvini è il nuovo capo della ditta del centrodestra. Il Cav. farà da garante, ma Forza Italia rischia di sfasciarsi”

Roma. Dice Marcello Pera, già presidente del Senato, che “i Cinque stelle sono stati coraggiosi. Hanno cambiato strategia e scoperto che la democrazia parlamentare è un valore importante anche per loro. Certo, ora  si apre un problema con la piattaforma Rousseau: democrazia parlamentare e piattaforma non vanno d’accordo. Però il salto in avanti l’hanno fatto e dentro il Movimento ha vinto l’ala politico-istituzionale. Mi pare che invece abbiano perso Grillo e forse Di Battista, cioè quelli che stavano fuori ad aspettare la sconfitta di Di Maio”. Quindi, senatore, un governo Lega-Cinque stelle, è già sull’uscio di casa? “No, non lo vedo. A parte i numeri, che pure ci sono, la questione è un’altra: Salvini non ha interesse a spaccare il centrodestra e lasciare Forza Italia all’opposizione, ma  ad assorbirla. Quindi userà la stessa strategia che ha portato all’elezione di Elisabetta Casellati e si trascinerà dietro Forza Italia. Berlusconi, che farà da garante, dirà di sì”.

 


Marcello Pera (foto LaPresse)


 

Insomma, l’esecutivo “Lega-M5s non ci sarà. Berlusconi dirà che entra nel governo pur di ammazzare l’ircocervo e la parola d’ordine sarà: accetto per il bene del paese”.  Perché? “Anzitutto si è fatto garante della Lega presso il Ppe e l’Europa, quindi non può lasciarla andare così. In più, se dicesse di no, romperebbe Forza Italia. E dentro Forza Italia ci sono già parecchi Toti che stanno per gettare la stampella oltre l’ostacolo”.

 

Ma Berlusconi dirà sì per via delle aziende? “Non solo. Per avere occhi su quel che succede, per essere informati. E’ anzitutto una questione politica. Seppur da una posizione indebolita, Berlusconi al governo potrebbe cercare di evitare provvedimenti eccessivamente punitivi nei confronti di Forza Italia”.

 

E poi che succede? “Intanto Forza Italia prende tempo, poi si vede se c’è un ricambio nel gruppo dirigente, se c’è una successione”. Il rinnovamento, dice Pera, serve “e bisognerà dare un segnale, del tipo: ‘cominciate a scannarvi, poi vediamo chi è bravo’. Così magari nascerà un leader. Altrimenti saranno tutti etero diretti  come adesso e Forza Italia non crescerà mai più come partito. La Lega in questo senso sta meglio, ha una classe dirigente amministrativa che Forza Italia non ha. Ora  è il momento giusto per costruirla. Si devono aprire le danze interne, di idee e di persone. I parlamentari devono mettere mano al portafoglio e riaprire sedi, non segreterie, e luoghi di discussione oggi chiusi. E servono congressi, dove magari volino pure le seggiole.  Anche perché nemmeno i concorsi di bellezza ormai funzionano più”.

 

Se però Forza Italia si sfasciasse adesso, “il tempo non ce l’avrebbe. Con il pezzo di Forza Italia che rimarrebbe – quello non leghista – non si potrebbe costruire un nuovo partito. Per questo poi ci sarà bisogno di una sponda esterna, che verrà dal Pd. La parte renziana si staccherà e con la parte non leghista di Forza Italia potranno costruire qualcosa insieme”.

 

Quindi a un certo punto Renzi si accorgerà che il Pd non gli serve più? “Già ora non gli serve più. Poi si renderà conto che con un governo così, Di Maio attrarrà una parte del Pd così come Salvini attrarrà una parte di Forza Italia. Le parti residue, che possono anche essere maggioritarie, possono appunto costituire il nucleo dell’opposizione a Di Maio-Salvini”.

 

Servirà però del tempo e “intanto il governo governerà, con un programma a metà: un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Le priorità d’altronde sono le stesse, basta cambiare nome. Ma più di questo non potranno fare, perché l’Europa non glielo consentirà”.

 

Quanto può durare questo governo? “Può andare oltre le europee, quando – senza farsi la guerra tra di loro – Di Maio chiederà anche i voti del Pd e Salvini chiederà anche i voti di Forza Italia. E’ lì che potrebbe nascere quel partito liberal-democratico alternativo a Di Maio e Salvini. La struttura del prossimo governo intanto è già fatta: basta nominare Carlo Cottarelli ministro o anche presidente del Consiglio. Così sono tutti accontentati: Salvini, Di Maio, l’Europa”.

 

E Giancarlo Giorgetti? “Temo che Di Maio non lo accetterebbe, significherebbe una vittoria della Lega. Salvini e Di Maio devono far vedere che i due hanno pareggiato, entrando come vicepresidenti in un governo e mettendo un personaggio come Cottarelli, che garantisce tutti, patrizi, plebei ed europei”.

 

E il reddito di cittadinanza? La flat tax? “Cambieranno nome; già hanno iniziato. Sussidio ai poveri, diminuzione della pressione fiscale. Quello che non potranno fare sarà sfondare il debito pubblico”.

 

Matteo Salvini è dunque il nuovo capo della ditta? “Sì, Forza Italia ha pagato 10 anni di inattività, di assenza sul territorio, di mancanza di rinnovamento della classe politica. C’è stato un ritardo incomprensibile, come se al ritardo potesse supplire in campagna elettorale la presenza di Berlusconi. I miracoli si possono fare due, tre volte. Alla quarta no. Per questo Forza Italia ha passato l’egemonia alla Lega; non da ora, ma negli anni. Specie quando ha detto no alla riforma costituzionale. E’ stata una resa ai populisti. A un certo punto Berlusconi parlava come Salvini e Di Maio, pur avendo approvato la legge costituzionale in Parlamento”.

 

Quando s’è rotto l’accordo fra Pd e Forza Italia, “Berlusconi è stato risucchiato non tanto da quelli che erano contrari alla riforma, ma da quelli che erano contro Renzi. E l’unica prospettiva, per Berlusconi, era fare un accordo con l’ex segretario del Pd. Invece ha consegnato il testimone del centrodestra in posizione subalterna a Salvini. Mi chiedo adesso se i miei vecchi amici Brunetta e Romani si sono mai pentiti di quella giravolta. Sono passati dal ‘Sì’ al ‘No’ dal martedì al mercoledì. Invece che recriminare sulle nomine di questo fine settimana, avrebbero dovuto recriminare per le decisioni politiche prese sulle riforme. Loro c’erano e le accolsero supinamente. Non ci furono ‘vaffa’ all’epoca, forse sarebbero stati utili. Non ci fu neanche una discussione, fu solo dato un contrordine all’insegna di una motivazione incomprensibile: Giuliano Amato anziché Sergio Mattarella come presidente della Repubblica. Che spettacolo deve essere stato Brunetta che diceva: ‘voglio Amato o rompo l’alleanza’! E’ la nemesi, è l’ironia involontaria della politica”.

 

Insomma, Brunetta e Romani non dovrebbero lamentarsi, “si dovrebbero chiedere piuttosto come mai hanno così pochi voti sul territorio e quali politiche hanno fatto, ma questa discussione non c’è stata né prima né dopo. Berlusconi decideva per tutti. Ora si sono accorti, troppo tardi, che Berlusconi decide anche le nomine, comprese le loro”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.