Silvio Berlusconi e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini e il Cav., la coppia che scoppia

Felpa e doppiopetto. Storia dell’alleanza improbabile che può funzionare nelle urne. Ma dopo?

Roma. Si punzecchiano, si sfidano, si fanno concorrenza, e allora Matteo Salvini dice che “il candidato premier sono io”, e Silvio Berlusconi gli risponde ricordandogli che “Forza Italia è quattro punti sopra la Lega”. E mentre il più giovane non si fida e lo vorrebbe portare addirittura dal notaio per fargli firmare una specie di patto di non tradimento, un contratto anti inciucio, una cosa a metà tra un matrimonio e un’ipoteca, il più vecchio replica con l’aria che aveva Totò mentre vendeva la fontana di Trevi: “Una stretta di mano è sufficiente”. E c’è davvero qualcosa di incongruo eppure di magico in questa acrobatica alleanza del centrodestra, tra un leader sovranista che spiega di essere “profondamente euroscettico”, l’arruffato Salvini che spesso paragona l’Unione europea al Terzo Reich, e il presidente impresario, Berlusconi, che si rifugia nel ri-patto con gli italiani, e che riceve a Roma il capogruppo del Ppe Manfred Weber: “Berlusconi è il più pragmatico, ragionevole e responsabile, e io lo appoggio”. Una coppia talmente scoppiata dovrebbe far scappare gli elettori a gambe levate, e invece sembra calamitare i consensi, innesca una competizione interna che funziona. In Germania Cdu e AfD sono i peggiori nemici, come in Francia i gaullisti con la Le Pen. In Italia sono alleati. Non si spiega, se non forse con la natura anomala del Cavaliere prestigiatore. 

     

E d’altra parte, l’arrembante Salvini era partito, all’inizio, rifiutando alleanze, incontri e mediazioni, dicendo “basta con Berlusconi”, “vado per conto mio”, “non accetteremo rapporti con nessuno che non sia per l’uscita immediata dall’euro”. Poi il leader della Lega ha cambiato un po’ idea, ha smussato gli angoli, ha detto che “per governare abbiamo bisogno di un’alleanza”, “così grazie ai voti dell’alleanza poi facciamo quello che vogliamo noi”. E infine, adesso, Salvini è arrivato a dire che se Forza Italia prendesse più voti della Lega, lui accetterebbe Antonio Tajani e persino Mario Draghi alla presidenza del Consiglio. Un ribaltamento quasi totale rispetto alle bellicose premesse. Ma anche un’apparente insensatezza, che fa dubitare della sua sincerità, e un po’ fa il paio con le mille pragmatiche cautele di Berlusconi. E infatti il Cavaliere non prende mai di petto Salvini, fa spallucce e smussa appena avverte un accenno d’intemperanza da parte del suo giovane alleato. E allora gli dicono che Salvini è razzista, e lui sorride: “Ma no, sembra così, invece quando si siede a tavola è molto ragionevole”. Poi gli dicono che Salvini è violento, e lui: “Il violento è di Maio”. E non si capisce mai fino in fondo se quello del vecchio Berlusconi è un metodo per non litigare con Salvini o è un modo di non prenderlo sul serio, con l’aria di chi, mentre dice “ è ragionevole”, sotto sotto allude al fatto che “Salvini fa quello che dico io”. Un atteggiamento pericolosamente liquidatorio: mai sottovalutare gli avversarsi, figurarsi gli alleati.

        

Con Umberto Bossi era più facile, e non solo per questioni anagrafiche: la Lega era un partito minoritario nel rapporto con il colosso Forza Italia-Pdl che stava al 30 per cento. Con Salvini è invece tutta un’altra storia: lui e Berlusconi hanno quasi gli stessi voti. E inoltre Salvini ha lentamente sfilato al Cavaliere il dominio del mood televisivo di Mediaset. Da Barbara D’Urso a Paolo Del Debbio fino a Maurizio Belpietro, gli argomenti della televisione berlusconiana sono in gran parte gli argomenti di Salvini: immigrati che stuprano, furti in casa, impoverimento delle famiglie, le insicurezze di nonna Peppina, l’eurotruffa, le banche ladre e più pistole per tutti.

     
E insomma non si sa come fanno a stare insieme, mentre uno urla che ci vogliono i dazi sulle merci importate e l’altro tesse l’elogio del “commercio libero che porta il benessere”, ma è così. Quello di Berlusconi e Salvini sembra un istintivo accordo ordinato agli scopi della raccolta elettorale, un proficuo adattarsi di certe concordanze: l’interesse e la politica. Ma è pure un’alleanza fondata più o meno consapevolmente sull’equivoco, avvolta, nutrita e per adesso fortificata da un’impalpabile nuvola di reciproca malafede. Funziona con la legge elettorale. Ma dopo il voto che succede?