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Privacy a chi? Fact checking sulle verità alternative di Casaleggio

Luciano Capone

“Mai risaliti all’identità dei votanti su Rousseau”, dice. Perché quelle del presidente della Casaleggio Associati sono fake news

Roma. Mentre ieri Davide Casaleggio, in una specie di intervista al Fatto quotidiano fatta di domande inviate via mail e risposte evasive, diceva di non essere mai risalito all’identità dei votanti su Rousseau, il Foglio lo smentiva attraverso documenti scritti di suo pugno. Tra i vari atti dell’indagine del Garante della Privacy sul sistema Rousseau, a cui il Foglio ha avuto accesso, c’è infatti un esposto dell’avvocato Lorenzo Borrè, che dimostra come Casaleggio abbia tracciato le votazioni degli iscritti. In occasione di due diversi giudizi civili, in cui Borrè difende alcuni grillini epurati, il M5s ha depositato due dichiarazioni distinte in cui Casaleggio dichiara di essere risalito alle singole votazioni e all’identità dei votanti. “L’Associazione Rousseau – c’è scritto nel documento pubblicato su ilFoglio.it – in persona del legale rappresentante pro tempore, nella sua qualità di gestore del sistema informatico del MoVimento 5 Stelle, attesta che i dati contenuti nella tabella, relativi a (Nome e Cognome del militante) sono stati estratti dal sistema informatico del M5s”. E nella pagina successiva: “Nella seguente tabella sono elencate le votazioni a cui ha partecipato (Nome e Cognome)”. Firmato: Davide Casaleggio.

 

   

Un documento analogo, sempre scritto e controfirmato da Casaleggio, riguarda altri tre iscritti. Quando il dominus di Rousseau dice al Fatto che esiste “la possibilità teorica” di risalire all’identità dei votanti “ma ovviamente non è mai stato fatto”, dice ovviamente una cosa falsa. Ma ciò che è più grave è che la stessa dichiarazione non veritiera è stata rilasciata a un’Authority come il Garante della Privacy.

  

Agli ispettori del Garante che piombano in Via Morone 6 per la loro indagine sulle violazioni nel sistema Rousseau, Casaleggio, assistito dai suoi legali, dichiara che relativamente alle funzionalità del voto elettronico nel database “non vengono conservate informazioni idonee ad identificare il votante”. Ma come abbiamo visto, le dichiarazioni precedenti della stessa Associazione Rousseau nelle cause contro Borrè dimostrano che è vero il contrario: Casaleggio estrae dal database delle votazioni dati che permettono di identificare i votanti. Per lo stesso motivo Casaleggio viene smentito quando dice al Garante che “sussiste la possibilità teorica di ricondurre il voto espresso all’identità del votante”, ma “non è mai stata utilizzata”. Altroché. Lo ha fatto per almeno quattro votanti – questo è quanto risulta da due documenti scritti di suo pugno – e chissà per quanti altri.

  

Ma non è l’unica cosa che non torna nelle risposte inviate via mail al Fatto quotidiano. Sul fiume di denaro che confluirà nella cassaforte della sua associazione, Casaleggio non spiega nulla: sono 300 euro al mese che verranno dagli eletti in Parlamento (3-4 milioni di euro nella legislatura) più gli oltre 500 mila euro già arrivati dai donatori. Non dice quanto costa Rousseau e come finora è stato speso il denaro. Dice che oltre ai “costi di mantenimento della piattaforma” ci sono quelli per gli stipendi del personale, per gli eventi e per la sicurezza. E poi “abbiamo in mente investimenti per l’utilizzo della blockchain per il voto”. Tralasciando il fatto che la blockchain è l’esatto contrario del sistema proprietario e centralizzato usato da Rousseau, perché è un protocollo open-source e decentralizzato (non esiste infatti nessuna “Associazione Bitcoin” con Satoshi Nakamoto presidente a vita, come invece accade con Casaleggio e Rousseau) e che si tratta di un investimento per il futuro, sulle spese qualcosa non torna. Tutti questi investimenti per lo “sviluppo”, il “mantenimento” e la “sicurezza” non si vedono. Nel “Rapporto Rousseau” di fine novembre, quindi pochi mesi fa, gli ispettori del Garante della Privacy scrivono che il software utilizzato dalla piattaforma Rousseau è affetto da “obsolescenza tecnica”, si tratta di una versione scaduta da quattro anni (“il produttore individuava nel 31 dicembre 2013 la data di fine vita”). E questa versione “manifestamente obsoleta” non garantiva alcuna sicurezza ai dati degli iscritti: “Il sistema di autenticazione” si basa sull’uso di “password banali, facilmente esposte alla decifrazione”. Quando si parla del voto elettronico viene certificata “l’impossibilità di accertare l’unicità del voto espresso nonché l’incertezza sulla sua autenticità” e anche la possibilità di “controllare e ricostruire le preferenze espresse dai votanti a causa della mancanza di anonimato”.

  

Lo “sviluppo” della piattaforma non c’è stato (il software è scaduto da 4 anni), il “mantenimento” è quello che è, la “sicurezza” dei dati non è garantita e la segretezza e correttezza del voto men che meno. Viene da chiedersi per cosa siano stati utilizzati tutti quei denari. Per il personale? Ma stando all’ultimo rendiconto sommario, Rousseau aveva un solo dipendente a tempo pieno (un ex della Casaleggio Associati). Come sono stati spesi allora gli oltre 550 mila euro finora raccolti? Davide Casaleggio è in grado di pubblicare un bilancio dettagliato con le singole voci di spesa, indicando i beneficiari? E visto che c’è, potrebbe fornire ai donatori un resoconto dei rimborsi che può autoattribuirsi come capo assoluto dell’Associazione Rousseau? Uno di quei rendiconti che sono tenuti a stilare gli eletti del M5s, gli stessi che dal prossimo mese saranno obbligati a versare alla sua associazione 300 euro al mese.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali