Luigi Di Maio e Virginia Raggi (foto LaPresse)

Lo spassoso ticket di governo Raggi-Di Maio

Claudio Cerasa

L’incompetenza teleguidata dal capo di un’azienda privata, il vuoto moralismo e l’inefficienza al potere, le parole a vanvera: perché l’adorabile Virginia, sindaco di Roma, è il simbolo perfetto del grillismo che si fa governo (e fallisce)

Davvero. Noi ci sforziamo di volerle male. Facciamo di tutto per farcela stare antipatica. Proviamo in tutti i modi a farle le pulci. Contiamo ogni giorno i rami secchi dei suoi alberi. Fotografiamo con passione la spazzatura della sua città. Osserviamo con enfasi le peripezie dei suoi mezzi pubblici. Ma alla fine proprio non ce le facciamo: come si fa a non essere pazzi di Virginia Raggi? Sarà che viviamo a Roma e che ogni giorno abbiamo la fortuna, unica, di sperimentare sulla nostra pelle cosa significhi essere governati da una giunta (non sappiamo perché ma il correttore automatico quando parliamo di “giunta” a Roma corregge automaticamente in “giungla”) che non riesce a tenere in vita un albero di Natale, che ha trasformato Roma in una fogna a cielo aperto, chetra mille complotti di frigoriferi ha affidato il compito di gestire il bilancio della Capitale all’ex buttafuori di una discoteca, che in due anni ha cambiato assessori con la stessa velocità con cui Maurizio Zamparini un tempo cambiava allenatori a Palermo. Sarà che ogni giorno abbiamo la fortuna, unica, di sperimentare sulla nostra pelle cosa significhi avere il grillismo al governo ma alla fine proprio non ce la facciamo e qui lo confessiamo apertamente e spudoratamente: noi siamo pazzi di Virginia Raggi e per il bene dell’Italia ci auguriamo che venga valorizzata come si deve dal Movimento 5 stelle nella campagna elettorale organizzata da Davide Casaleggio per portare Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. 

 

Perché è inutile girarci attorno no? Virginia Raggi, adorabile, è il perfetto simbolo del grillismo che si fa governo: un’amministrazione non competente che accetta per contratto di essere teleguidata dal capo di un’azienda privata, che riconosce la legittimità di essere sottoposta a un’estorsione potenziale che la costringe a non prendere decisioni autonome pena una multa da 150 mila euro, che pretende di guidare la macchina di una città a colpi non di efficienza ma di moralismo, che non riesce ad ammettere che una città che produce più immondizia di quella che può smaltire è una città che rischia di esplodere, che considera il suo più importante successo quello di non (non) aver accettato la candidatura di Roma per le Olimpiadi, che è riuscita a farsi bocciare preliminarmente i bilanci del comune dagli organismi di revisione economica e finanziaria, che è riuscita a trasformare una piccola crisi idrica in un caso internazionale che ha permesso di descrivere Roma come una capitale a rischio acqua e che nel giro di due anni è riuscita a far perdere ben undici posizioni alla Capitale d’Italia nella classifica delle città più vivibili del paese (dal tredicesimo posto al ventiquattresimo posto). 

 

È a causa del legame a doppio filo tra Raggi e Di Maio (e Casaleggio) che il fronte grillino
più movimentista (Fico-Lombardi)
ha spesso scelto di prendere
a schiaffoni verbali il sindaco
di Roma per lanciare messaggi
di sfiducia rivolti allo stesso Di Maio. E probabilmente sarà grazie
a Virginia Raggi che la candidatura
a Palazzo Chigi di Luigi Di Maio assumerà a poco a poco le giuste dimensioni: una bolla mediatica,
un bluff, una truffa politica.

Ecco. Per documentare il disastro di Roma, non c’è bisogno di speculare sulle peripezie giudiziarie di Virginia Raggi (anche se strappa un sorriso l’idea che i moralisti arrivati a governare la città giocando con gli strumenti del processo mediatico oggi accusino gli avversari di voler speculare mediaticamente sul processo per falso che Virginia Raggi dovrà affrontare a partire dal 21 giugno) ma è sufficiente osservare i fatti. E una buona sintesi dei fatti e dei magnifici disastri di Roma è stata offerta poche settimane fa prima dall’Istituto superiore di sanità e poi dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali che in modo impietoso hanno messo in fila alcuni dati utili a fotografare lo stato di salute della città. Secondo l’Istituto superiore di sanità, “Roma è l’unica tra le 28 capitali dell’Ue che ha peggiorato i suoi indicatori di salute negli ultimi anni. Tutti gli indicatori, da quello più solido che è l’aspettativa di vita e la mortalità infantile a quello per patologie tumorali, fanno riscontrare un peggioramento della situazione dei cittadini romani rispetto al resto di Italia”. Gli indicatori presi in esame sono l’aspettativa di vita, la mortalità infantile, la mortalità per tumore, il modo in cui insorgono le complicanze del diabete e secondo il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi, rispetto a questi indicatori la salute dei romani è “mediamente peggiore” di quella degli altri italiani. Nella relazione annuale sullo stato dei servizi pubblici locali presentata il 12 dicembre dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali i dati messi in fila sono ugualmente drammatici. “I romani nel 2017 hanno espresso un voto al di sotto della sufficienza sull’intero comparto del trasporto pubblico e della mobilità. Da due anni il giudizio negativo (insufficiente) ha interessato anche la metropolitana e per la prima volta (quest’anno) i taxi. La programmazione del trasporto metropolitano non è stata quasi mai rispettata e nel periodo gennaio-ottobre 2017 ha registrato uno scarto negativo del -15 per cento. Allo stesso modo, anche la programmazione del trasporto delle ferrovie regionali non è mai stata rispettata e nel periodo gennaio-ottobre 2017 ha registrato uno scarto del -6 per cento. La produttività per dipendente nel trasporto pubblico è diminuita dal 2012 di circa il 6 per cento e parallelamente il costo del personale per km di percorrenza è aumentato del 5 per cento. Le corse del trasporto pubblico non effettuate (per mancato servizio) sono aumentate del 750 per cento rispetto al 2011. Nel 2017 i romani interpellati dall’agenzia hanno dato il voto più basso della storia di Roma sia ai servizi per la pulizia, 3,2, sia ai servizi di raccolta dei rifiuti, 3,7”.

 

La storia di Virginia Raggi non è solo la storia di uno sfortunato e improponibile sindaco non capace che ha scelto di governare la capitale d’Italia senza avere la competenza neppure per gestire una riunione di condominio ma è la storia di un candidato premier di nome Luigi Di Maio che prima di essere il front runner del Movimento 5 stelle nella corsa a Palazzo Chigi ha avuto in passato un ruolo importante: quello di essere l’allevatore di una nuova classe dirigente grillina, in special modo quella maturata negli enti locali. E in questo senso, Di Maio e Raggi sono due facce della stessa medaglia. E’ stato Luigi Di Maio a sperimentare nella giunta Raggi alcuni suoi pupilli (a partire da Marcello Minenna). E’ stato Luigi Di Maio a difendere in ogni occasione l’operato di Virginia Raggi (e ad assumersi anche delle responsabilità per alcune disavventure di ex assessori). E’ a causa delle indagini a carico di Virginia Raggi che il Movimento 5 stelle ha modificato il suo statuto rendendolo più garantista rispetto al passato (se sei un grillino e sei indagato puoi essere considerato innocente fino a quando lo decide Davide Casaleggio). E’ a causa del legame a doppio filo tra Raggi e Di Maio (e Casaleggio) che il fronte grillino più movimentista (Fico-Lombardi) ha spesso scelto di prendere a schiaffoni verbali il sindaco di Roma per lanciare messaggi di sfiducia rivolti allo stesso Di Maio. E probabilmente sarà grazie a Virginia Raggi che la candidatura a Palazzo Chigi di Luigi Di Maio assumerà a poco a poco le giuste dimensioni: una bolla mediatica, un bluff colossale, una truffa politica.

 

Sappiamo che Luigi Di Maio da qualche mese a questa parte, quando parla con alcuni suoi interlocutori istituzionali (soprattutto gli ambasciatori italiani all’estero), dice che non è vero nulla e che presto i pasticci di Virginia Raggi, dopo le elezioni, non saranno più i pasticci del Movimento 5 stelle ma resteranno solo i pasticci di Virginia Raggi. Ma noi vogliamo ugualmente lanciare un appello al candidato premier grillino, per difendere la nostra amata Virginia: per andare a Palazzo Chigi occorre coraggio, occorre essere sinceri e occorre dire la verità ai propri elettori. E’ giusto per esempio dire che il Movimento 5 stelle ha intenzione di convocare un referendum sull’euro (ignorando che senza una modifica della Costituzione, i referendum possono essere solo abrogativi, salvo alcuni casi territoriali previsti dall’articolo 132 della Costituzione e ignorando che l’articolo 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali). E’ giusto per esempio dire che il Movimento 5 stelle sogna di governare l’Italia esportando il modello Lagos (città che secondo il “Quality of living city rankings” di Mercer, una classifica delle città in base alla qualità di vita, si trova al 212° posto su 231 città considerate in tutto il mondo). E allo stesso modo sarebbe giusto gettare la maschera e dire le cose come stanno. Il grillismo, in attesa di governare l’Italia, governa già, con i risultati che sappiamo, la sua capitale con un sindaco che risponde, in modo diretto, agli input di Davide Casaleggio e di Luigi Di Maio. E’ inutile girarci attorno. Il modello Roma contiene già tutti i geni del grillismo (incompetenza, moralismo, superficialità, inefficienza, approssimazione) e per coerenza e trasparenza e onestà bisognerebbe avere il coraggio di dire che non esiste una candidatura di Di Maio se questa candidatura non viene messa a fianco all’esperienza di Virginia Raggi. Per questo bisognerebbe dire la verità: il 4 marzo, alle elezioni politiche, ci sarà un ticket di governo che si presenterà alle elezioni e quel ticket per nulla virtuale è formato da Luigi Di Maio e da Virginia Raggi. In due, finora, non sono riusciti a tenere in vita un albero di Natale prima dell’arrivo di Natale. Ma siamo certi che prima delle elezioni Virginia e Gigi ci regaleranno altre soddisfazioni. Smack.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.