Beppe Grillo (foto LaPresse)

Dal vincolo di mandato alla presunzione di innocenza: il M5s incostituzionale

Claudio Cerasa

Breve ripasso degli articoli della Costituzione che il partito fondato da un comico intende violare: artt. 1, 27, 48, 49, 67, 51, 97

In Italia esiste un partito fondato da un comico, guidato da un pagliaccio e gestito da un clown che ha costruito parte della sua fortuna difendendo in modo appassionato la Costituzione più bella del mondo salvo però dimenticarsi che la Costituzione che governa l’Italia è quella entrata in vigore il primo gennaio del 1948 dopo il voto dell’Assemblea costituente e non quella che una volta all’anno entra in vigore sul blog di un comico gestito da un clown. Per questo abbiamo deciso oggi di offrirvi un breve corsivo per ricordare quello che ogni giornale con la testa sulle spalle dovrebbe scolpire sul marmo in questa campagna elettorale. Non un grande lavoro, solo una piccola ricognizione: la storia semplice ed elementare di alcuni articoli della Costituzione.

 

Procediamo veloci.

 

Articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Nello specifico, l’Italia è una democrazia rappresentativa (non una democrazia diretta) nella quale gli aventi diritto al voto (articolo 48 della Costituzione) eleggono dei rappresentanti per essere governati attraverso l’esercizio del diritto di voto (“Il voto è personale ed uguale, libero e segreto”) mediante il quale ogni cittadino sceglie i propri rappresentanti ai quali viene delegata non la sovranità ma, come si dice, la cura effettiva degli affari pubblici. I rappresentanti scelti dal popolo (articolo 67) una volta arrivati in Parlamento rappresentano il paese e non solo un partito (sono deputati, non sudditi) e per questo sono eletti senza vincolo di mandato per le ragioni che spiegò bene il grande Edmund Burke il 3 novembre del 1744: “Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il Parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale”. Per arrivare in Parlamento, articolo 49, “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Inoltre, come prevede l’articolo 51, “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” e il diritto di accesso in condizione di eguaglianza alle cariche elettive comporta il conseguente divieto (divieto) di stabilire limiti o condizioni differenti per l’accesso alle cariche stesse che siano diversi dai requisiti previsti in via generale per il godimento dei diritti politici. Ogni tentativo di stabilire un limite o una condizione differente per accedere alle cariche (per esempio un contratto con una penale) è perciò una forma di estorsione che vìola il principio dell’elezione “in condizioni di eguaglianza” per la semplice ragione che potrebbe avere l’effetto di impedirne o comunque di comprimerne l’esercizio. In base a questi princìpi costituzionali, un soggetto eletto, come prevede la giurisprudenza, non può assumere durante il proprio mandato “uffici o cariche se posto in condizione di subalternità tale da dover delegare a terzi le funzioni tipiche del pubblico incarico ricoperto ed attribuito ad egli soltanto sulla base di un preciso mandato elettorale ricevuto dai cittadini”. In particolare, tranquilli l’elenco è quasi finito ma vale la pena arrivare fino in fondo, quando si viene eletti in un ente locale, per esempio, il candidato non può vincolare le sue decisioni a un soggetto esterno e a quel soggetto (come prevede l’articolo 97 della Costituzione) può rivolgersi solo per un mero parere, perché vincolato dal principio del buon andamento della amministrazione di cui egli è giudice (art. 97 della Costituzione). In altre parole, il candidato non può in nessun modo cedere a terzi un suo diritto. Chiaro?

 

Infine, last but not least, ogni parlamentare sa che il potere legislativo e il potere giudiziario sono due poteri che devono vivere in un regime di separazione e l’equilibrio dei due poteri è garantito, tra gli altri, da due articoli della Costituzione. Il numero 27, in base al quale non basta un’indagine per essere lapidato e in base al quale “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. E il numero 111, in base al quale “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale: la legge ne assicura la ragionevole durata”. Benissimo.

 

 

Questa breve lezione, questo breve ripasso, è utile per ricordarci una cosa semplice. In Italia esiste un partito fondato da un comico, guidato da un pagliaccio e gestito da un clown che si presenta alle elezioni considerando ogni imputato colpevole fino a prova contraria (violazione dell’articolo 27), che chiede di abolire il principio del giusto processo eliminando la prescrizione (violazione dell’articolo 111), che fa firmare ai suoi amministratori locali contratti che li costringono a cedere a terzi il controllo preventivo di “tutte le proposte di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse” (violazione dell’articolo 97), che costringe i suoi potenziali eletti a firmare contratti con penali estorsive negando loro il diritto di accesso in condizione di eguaglianza alle cariche elettive (violazione dell’articolo 51), che si presenta in Parlamento non con un partito (violazione dell’articolo 49) ma con un movimento controllato da un’associazione misteriosa guidata dal capo di un’azienda privata che costringe gli eletti del “non partito” a versare alla sua associazione 300 euro al mese (circa 4 milioni di euro in una legislatura), che impone agli eletti di un “non partito” teleguidato dal capo di un’azienda privata di pagare una multa da 100 mila euro in caso di dissenso con la linea di quel partito (violazione dell’articolo 67), che sogna di sostituire la democrazia rappresentativa con la democrazia diretta (violazione dell’articolo 1 della Costituzione) e che si presenta alle elezioni con un candidato premier che sogna di convocare un referendum consultivo (senza una modifica della Costituzione, i referendum possono essere solo abrogativi, salvo alcuni casi territoriali previsti dall’articolo 132 della Costituzione) per chiedere ai cittadini se vogliono uscire dall’euro, ignorando sia che l’articolo 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali sia che un referendum consultivo non sarebbe solo consultivo ma avrebbe l’effetto ovvio in caso di vittoria del Sì di costringere il governo a uscire davvero dall’euro (anche il referendum sulla Brexit era tecnicamente consultivo).

 

Un candidato premier, infine, scelto nell’ambito di una consultazione in rete, avvenuta all’interno di una piattaforma online coordinata dal capo di un’azienda privata (Rousseau), viziata secondo il Garante della privacy (provvedimento del 21 dicembre 2017) da un problema importante: “La concreta possibilità di associare, in ogni momento successivo alla votazione, oltre che durante le operazioni di voto, i voti espressi ai rispettivi votanti e la possibilità di tracciare a ritroso il voto espresso dagli interessati”. Non esattamente in linea, diciamo, con quanto previsto dall’articolo 49 della Costituzione il quale prevede che “Il voto è personale ed uguale, libero e segreto”.

 

In Italia esiste dunque un partito fondato da un comico, guidato da un pagliaccio e gestito da un clown che ha costruito parte della sua fortuna difendendo la Costituzione più bella del mondo salvo essersi dimenticato che la Costituzione che governa l’Italia è quella entrata in vigore il primo gennaio del 1948 dopo un voto dell’Assemblea costituente e non quella che una volta all’anno entra in vigore sul blog di un comico gestito da un clown. Il quadro è fin troppo chiaro: è arrivato davvero il momento di scatenarsi tutti contro la legge sui sacchetti biodegradabili.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.