Immigrazione, garantismo, mercato, Europa. Ecco i “doveri” del Pd

Claudio Cerasa

Comunque vada il 4 marzo, una nuova sinistra è già nata: quella dei doveri e non solo dei diritti. Quattro esempi (e un merito a Renzi)

E’ possibile che sarà un mezzo disastro. E’ possibile che il prossimo 4 marzo sarà ricordato dalla sinistra italiana come il giorno più nero della sua storia. E’ possibile che i buoni risultati ottenuti dai governi a guida Pd in questa legislatura non permettano al Pd di raccogliere i consensi che pure meriterebbe. E’ possibile che alle prossime elezioni si verifichi tutto questo ma al termine di questa legislatura è impossibile non notare che rispetto a cinque anni fa in Italia esiste una sinistra che per la prima volta nella sua storia ha trasformato in un punto di forza un sostantivo che il mondo progressista per anni ha cercato di dribblare: i doveri. Non si sa quanto consenso avrà il 4 marzo il Partito democratico – e non si sa quale sarà il destino politico di Matteo Renzi – ma l’impressione è che il percorso imboccato dalla sinistra italiana, al di là di quello che sarà il risultato percentuale del centrosinistra alle prossime elezioni, non sia più reversibile e che comunque andranno le cose alle prossime elezioni la salutare trasformazione genetica della sinistra sia un dato di fatto indiscutibile e se vogliamo una delle notizie politiche più importanti di questa legislatura. Non sappiamo quanti voti prenderà il Pd di Matteo Renzi (il potenziale c’è, anche se il trend è negativo) ma sappiamo che il Pd sul quale scommette l’ex sindaco di Firenze alle prossime elezioni può contare su almeno quattro volti che in modo più o meno esplicito rappresentano l’immagine di una sinistra fieramente alternativa al modello populista della sinistra movimentista, che non ha altra bandiera se non quella sterile dei diritti senza doveri. Non sappiamo quanti voti prenderà il Pd di Matteo Renzi ma sappiamo che il Pd che proverà a raccogliere voti in campagna elettorale lo farà non solo sulla base dei diritti conquistati in questa legislatura (dal biotestamento alle unioni civili) ma lo farà soprattutto sulla base dei doveri rappresentati in modo plastico da Marco Minniti, Carlo Calenda, Andrea Orlando e ovviamente Paolo Gentiloni.

 

Può sembrare una sciocchezza ma per la prima volta nella storia (Veltroni ci provò ma poi alle elezioni ci andò con Di Pietro) il centrosinistra italiano prova a conquistare elettori non soltanto sulla base di ciò che un cittadino deve ricevere ma anche sulla base di ciò che un cittadino deve fare e accettare. Bisogna accettare che un paese che vuole accogliere i migranti non può parlare di diritti se prima non si occupa di doveri e se prima non si preoccupa di governare i suoi confini e in questo senso bisogna considerare un dovere tenere insieme la parola accoglienza con la parola legalità (modello Minniti). Bisogna accettare che un paese che vuole essere competitivo con il resto d’Europa non può parlare di diritti se non concentra le sue risorse nel sostegno alla vitalità delle imprese e se non concentra le sue forze nella lotta contro la repubblica dei veti (modello Calenda). Bisogna accettare che un paese che vuole difendere il suo stato di diritto non può fare a meno di ribellarsi al circo mediatico-giudiziario e non può fare a meno di denunciare i tic della repubblica basata sul pettegolezzo (Orlando quantomeno ci ha provato). Bisogna accettare che un paese che vuole garantire la sicurezza dei suoi cittadini non può fare a meno di considerare l’attività del suo esercito all’estero come un perno della difesa dell’interesse nazionale e bisogna infine accettare che un paese che vuole difendere l’interesse nazionale deve considerare un diritto anche chiamare gli accordi con gli avversari “compromessi” e non “inciuci” (modello Gentiloni).

 

A vario titolo, i quattro ministri che abbiamo citato (ministri in un certo modo inventati da Renzi, nel 2013 il Pd di Bersani e Fassina non aveva in programma la candidatura dell’attuale premier) hanno contribuito a far fare al Pd un salto di qualità rispetto al passato e a trasformare il Partito democratico in una creatura politica pazza ma necessaria che la sinistra italiana non aveva mai conosciuto compiutamente prima dell’arrivo di Renzi: una sinistra garantista, mercatista, aperturista, europeista, non sindacalizzata che nel suo piccolo ha anticipato il macronismo creando un’alternativa possibile al modello Corbyn, al modello Podemos, al modello Di Maio e che nel suo piccolo ha scoperto che seguendo questa strada può raccogliere un consenso potenziale che la può portare a sfondare (nel 2013, all’apice del suo percorso politico, la vecchia sinistra arrivò al 25 per cento; nel 2014, all’apice del suo percorso politico, la nuova sinistra è arrivata al 40 per cento).

 

E’ difficile dire quale sarà il destino del Pd ed è difficile capire se la svolta della sinistra italiana – che ancora oggi è un unicum in tutta Europa – porterà i suoi frutti alle elezioni (dal 1994 a oggi non c’è mai stato un partito al governo che sia stato riconfermato al governo tra un’elezione e l’altra). Sappiamo però che a quattro anni dall’arrivo di Renzi alla guida del Pd al di là di quello che sarà il destino del segretario del Partito democratico c’è una sinistra nuova, moderna, produttiva, con la testa sulle spalle che cerca voti sulla base di un programma garantista, mercatista, non sovranista, che ha imparato a educare i suoi elettori a non fidarsi dei partiti che quando parlano di diritti non hanno il coraggio di parlare di doveri e che alle elezioni dovrebbe rivendicare questa sua peculiarità: siamo da soli non perché nessuno vuole allearsi con noi ma perché andare grosso modo alle elezioni da soli è l’unico modo per tenere in cassaforte il modello della nuova sinistra (una delle ragioni per cui Emma Bonino rischia di non essere alleata al Pd in fondo riguarda un tema più importante della raccolta delle firme: riguarda per esempio l’approccio differente che esiste con il ministro Minniti sul tema dei doveri che deve avere un paese quando parla di immigrazione).

 

In questo senso Matteo Renzi, quale che sarà il suo destino, è stato finora un grande stress test per la sinistra italiana e ha costretto il mondo progressista in un modo o in un altro a fare i conti in modo brusco e anche traumatico (ma c’erano alternative?) sia con i suoi limiti sia con i suoi punti di forza. E’ ovvio: il Pd poteva essere gestito meglio, il referendum poteva essere gestito meglio, il rapporto con alcuni pezzi da novanta del Pd poteva essere gestito meglio (così come poteva essere gestito meglio l’unico patto che avrebbe permesso al Pd di Renzi di non trovarsi in un mondo orfano del sogno da cui era nato il Pd di Renzi: il patto con Berlusconi per riformare la Costituzione, la cui rottura è stata mille volte più grave della rottura con Pier Luigi Bersani). Ma al di là di tutto non si può far finta di niente e non si può negare che non ci sia una novità importante per la democrazia italiana: per la prima volta nella storia recente della gauche del nostro paese la sinistra dei doveri – una sinistra non sfascista, non giustizialista, non anti mercatista, non sindacalizzata, disposta a confrontarsi con piglio trasversale sui temi che riguardano il futuro dell’Italia – sembra essere in netta maggioranza rispetto alla sinistra dei diritti e a prescindere da come finiranno le prossime elezioni sarà difficile non ripartire da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.