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Consigli al Pd per non inseguire le scivolose promesse dei populisti

Luciano Capone

All’offerta del Partito democratico manca una “parola magica” capace di competere in suggestione con “reddito di cittadinanza” e “flat tax”. Quale potrebbe essere? Parla Francesco Giavazzi

Roma. Con lo scioglimento delle Camere parte il conto alla rovescia verso le elezioni politiche del 4 marzo e inizia ufficialmente la campagna elettorale. In questo avvio di confronto politico, caratterizzato sul fronte economico da una corsa al rialzo delle promesse con costi davvero esorbitanti (che non lasciano ben sperare per la tenuta dei conti pubblici), i due principali schieramenti di opposizione si sono imposti all’attenzione degli elettori con due proposte radicali e di facile presa sull’elettorato: il “reddito di cittadinanza” per il Movimento 5 stelle e la “flat tax” per il centrodestra. Certo, il M5s propone anche di abbassare le tasse sulle imprese per competere con Silvio Berlusconi al nord e Forza Italia propone anche il “reddito di dignità” per recuperare terreno sui grillini al sud, ma “reddito e cittadinanza” e “flat tax” sono le proposte che rendono i due schieramenti immediatamente riconoscibili dai cittadini.

 

Cosa offre invece il Partito democratico? Anche Matteo Renzi ha impostato un programma basato sulla spesa in deficit, nel suo libro-manifesto ha indicato di alzare il deficit al 2,9 per cento per i prossimi cinque anni, ma all’offerta del Pd manca una “parola magica”, una proposta presentata come risolutiva, capace di competere in suggestione con “reddito di cittadinanza” e “flat tax”. Quale potrebbe essere? “Sinceramente, se c’è qualcosa di cui il paese non ha bisogno è il reddito di cittadinanza del M5s – dice al Foglio Francesco Giavazzi, economista della Bocconi – e sulla flat tax, mi pare che adesso anche Berlusconi sia molto cauto, dice che bisogna arrivare all’aliquota unica con calma, dopo qualche anno”. E il Pd di cosa dovrebbe parlare? “Di tutto il resto di cui ha davvero bisogno il paese, le riforme per alzare il reddito potenziale. Adesso la crescita trainata da un po’ di domanda anche grazie alle politiche del governo Renzi c’è, ma non abbiamo alzato la crescita potenziale. Il Fondo monetario la dà allo 0,8 e vuol dire che andiamo al doppio del reddito potenziale, è come una macchina che va su di giri, dopo un po’ ne risenti”. Certo fare una campagna elettorale contrapponendo il “pil potenziale” al reddito di cittadinanza e alla flat tax non è semplice. “Credo che ci sia una parte del paese molto ampia che capisce che il reddito di cittadinanza è sbagliato che la flat tax cose simili sono state proposte altre volte e poi mai fatte per vari motivi – dice Giavazzi – C’è lo spazio politico per uno che dica quello che spesso ripeteva un grande economista come Rudi Dornbusch: i problemi difficili hanno sempre soluzioni facili, peccato che siano tutte sbagliate”. Quella di Dornbusch pare un po’ l’impostazione di Gentiloni. “Le cose sono complicate, ci sono voluti due anni per fare il Jobs Act, prima l’approvazione e poi i decreti attuativi. Fare le riforme non è semplice”. Cosa servirebbe per far salire la produttività e il pil potenziale? “Da oltre un decennio la produttività in Italia è stagnante, ma non è omogenea. Ci sono settori in cui cresce più che in Germania, altri in cui è ferma, ad esempio le piccole imprese non integrate in un filiera, e altri in cui diminuisce, in particolare nei servizi professionali e nelle aziende dove c’è la forte presenza di un azionista pubblico”.

 

In sintesi privatizzazioni e liberalizzazioni, due campi su cui il governo, nonostante la prima legge sulla Concorrenza (molto annacquata), ha fatto poco. Non è semplice però presentarsi con un programma del genere. “Se uno ha in mente la frase di Rudi, capisce al volo il problema. E se lo dice chiaramente ai cittadini, ce ne sono tanti disposti a comprendere”. A proposito di Dornbusch, l’economista tedesco del Mit a inizio anni ’90 scrisse un libro dal titolo “La macroeconomia del populismo in America latina”, che parlava dei danni prodotti dalla spesa in deficit e dalle politiche fiscali irresponsabili. La lezione di Dornbusch era tratta dal Sud America degli anni ’80, mai avrebbe pensato che poteva servire per l’Italia del 2018.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali