Cosa vuole il Pd?

Claudio Cerasa

Ci scrive il sottosegretario Faraone: “Il paese sta meglio, ma qualcuno vuole far fuori la nostra classe dirigente”. Forse, però, vale la pena domandarsi perché i democratici non riescono a trovare le parole per descrivere il futuro 

Al direttore - Nastri taroccati nella trascrizione che diventano il Verbo per incastrare il leader di un grande Paese, sms truccati che diventano versetti del Vangelo e prove per mandare alla gogna un sindaco, libri che passano per grandi inchieste giornalistiche scivolando nel genere fantasy per dimostrare che una ministra della Repubblica ha le mani in pasta su una banca nonostante nessuna prova, nessuna indagine sia mai stata aperta. Tre casi, quello di Matteo Renzi, Mattia Palazzi e Maria Elena Boschi, che dipingono un quadro a tinte fosche e su cui un Paese democratico ha l’obbligo di avviare una riflessione. Una riflessione sui poteri dello Stato e sull’equilibrio tra questi. Che non sono solo tre, c’è il quarto, il più potente nell’èra della rivoluzione “infostriale” e della babele comunicativa: parlo dell’informazione, quella che troviamo nelle edicole e quella che invece ci raggiunge a casa e per strada attraverso gli smartphone.

 

Non ho scoperto l’acqua calda, lo so che questo tema delicatissimo per le democrazie post-moderne è di grande rilevanza e non è di oggi. Di caccia alle streghe, di gogne mediatiche, di mostri sbattuti in prima pagina e poi da vittime relegate nei trafiletti dei giornali o destinati all’oblio, di apparati dello Stato infedeli ce ne sono stati tanti nel corso della storia repubblicana. Ma la novità di questi ultimi mesi, e l’intensità assunta proprio nei momenti importanti – penso per esempio alle vigilie elettorali – è che c’è stato un salto di qualità, un aumento potenziale della tensione. L’intensità dell’attacco, che ha raggiunto i vertici istituzionali di un Paese, la falsità o l’inconsistenza delle accuse rivolte a esponenti di primo piano, la grancassa mediatica che si è messa in moto, è un segnale torbido. Una sorta di campagna elettorale parallela, deviata.

 

Nessun vittimismo per carità, e soprattutto massimo rispetto per chi svolge, nel rispetto della legge, il proprio lavoro, ma ho la sensazione che qualcuno voglia far saltare per aria una nuova classe dirigente, quella del Pd, il principale partito democratico d’Europa, unico argine alle destre e ai populismi. Una nuova e giovane classe dirigente del Paese che ha avuto come unico torto quello voler cambiare l’Italia, di averci provato e per certi aspetti, esserci anche riusciti. Senza alcun timore reverenziale. Abbiamo trovato l’Italia in ginocchio e l’abbiamo rimessa in piedi. I dati Istat ce lo confermano: il pil cresce, l’occupazione ha avuto un balzo in avanti, l’economia è ripartita. Siamo un Paese più giusto e con più diritti. Abbiamo commesso errori per carità, ma credetemi, non è semplice imporre una nuova visione, nuove idee e nuove facce, ma l’uso continuo e sistematico di questa strategia non convenzionale per far fuori un avversario politico, una forza politica, è quanto di più odioso possa accadere in un paese democratico. Penso che spetti a tutti coloro che hanno grandi responsabilità democratiche tornare al proprio posto e con serietà affrontare una campagna elettorale normale che è utile non al Pd o a Matteo Renzi, ma all’Italia e agli Italiani. A noi il compito di parlare di cose concrete e di non perdere mai di vista il nostro orizzonte, la nostra visione, il motivo per cui continuiamo ad impegnarci, che è quello di cambiare l’Italia, insieme.

Davide Faraone sottosegretario alla Salute, Pd

 

La character assassination è da sempre un istinto primordiale del nostro paese, che tende a castigare chiunque provi a cambiare a spallate l’Italia. Ma oggi, caro Faraone, per uscire dalle sabbie mobili in cui oggettivamente si trova il Pd, più che chiedersi perché qualcuno ha lavorato affinché la classe dirigente renziana fosse azzoppata in modo definitivo vale forse la pena domandarsi cosa ha fatto questa classe dirigente per azzopparsi da sola. Negli ultimi anni, anche grazie al Pd, l’Italia si trova in una condizione migliore rispetto al passato, ma paradossalmente in questo momento il partito che più fatica a trovare le parole giuste per descrivere il futuro sembra proprio quello che in questa legislatura ha fatto molto per dare un nuovo orizzonte al paese. Si capisce quello che vogliono gli avversari del Pd (flat tax, reddito di cittadinanza). Per questo, più che chiedersi cosa vogliono gli avversari del Pd dal Pd, bisognerebbe farsi una domanda più elementare: esattamente, cosa vuole il Pd?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.