Matteo Richetti (foto LaPresse)

Matteo Richetti, il portavoce dell'auto-incoscienza del Pd

David Allegranti

Prima gli attacchi a Renzi in video ("La parola data conta"), poi le lagnanze sui vitalizi contro il suo partito ("Mi vergogno")

Roma. Nel trionfo del retroscena – la frase centellinata con perizia da spin doctor – capitano le botte d’autocoscienza acuta, o in certi casi di auto-incoscienza, come quando mandi un sms al destinatario sbagliato, che puntualmente è oggetto di contumelie nel messaggio. Nel caso di Matteo Richetti, responsabile comunicazione della segreteria del Pd, non è chiaro se le confessioni video contro Matteo Renzi (riportate dal Corriere) e le critiche al Pd sui vitalizi affidate alle chat tra renziani modenesi (riportate dal Fatto) siano un modo per comunicarci qualcosa o soltanto ingenua frivolezza.

  

Solo che qui il comunicatore Richetti – consapevole o no – rischia la scomunica: “Non puoi andare ad Arezzo a dire ‘siccome volevamo abolire il Senato e ci mettiamo la faccia su Banca Etruria, mi candido al Senato ad Arezzo’. Poi arrivi a Milano e ‘siccome sono a Milano sfido Berlusconi nel collegio di Milano’. Poi dopo andrà a finire, com’è giusto che vada a finire, che ti candidi a Firenze che è la tua città. Allora mi chiedo – ha detto Richetti in un’iniziativa pubblica a Napoli – perché non comprendiamo che in politica la parola data, anche su questioni poco rilevanti, conta, in una stagione così complessa?”. Segue video di Richetti su Twitter in cui dice che è colpa delle solite jene dattilografe che “hanno estrapolato le parole all’interno di un discorso di 3 ore e hanno detto che Richetti è contro Renzi”. Due minuti però sono sufficienti ad articolare un concetto e dire cose politicamente rilevanti.

   

 

D’altronde Richetti mica è nuovo a critiche a Renzi; in questi anni gliene ha riservate molte. Il 23 febbraio 2016, a “Otto e Mezzo”, disse che il Pd “è un partito che sul territorio ha smarrito la capacità di innovazione che era nella nostra proposta”. Per un anno, tra interviste e libro (“Harambee!”, uscito nell’estate 2016), Richetti è parso sul punto di esplodere: tre giorni dopo l’intervista a “Otto e Mezzo” ne rilasciò un’altra alla Stampa, dopo il sì di Denis Verdini alla fiducia al governo Renzi: “La fiducia – disse Richetti – è il pieno inserimento in un progetto di governo che presuppone una visione comune di paese e di società, vuole dire che da oggi condividiamo con Verdini le idee legate a fisco, economia, legalità, strumenti di sostegno alle povertà. E a me pare che questo oggettivamente sia troppo”.

 

A fine 2015 ci era andato giù ancora più duro, dicendo che la rottamazione era in sostanza fallita: “Il Pd non è più di nessuno: non di chi ha sostenuto Renzi, che vede candidati e dirigenti in totale continuità col passato, con la ‘ditta’ tanto criticata, e non di chi ha contrastato Renzi e ritiene che la sua gestione del partito non abbia niente a che fare con la sinistra. L’identità del Pd è fortemente minata”. A quel tempo, però, non era ancora portavoce. E oggi, invece, da portavoce del Pd dice di vergognarsi “per tutto il Pd”, perché la sua proposta sui vitalizi s’è persa fra gli scranni di Palazzo Madama dove ci sono i senatori che sono di “un’avidità incomprensibile”.

 

Ma sono appunto chiacchiere fra (più o meno) amici che finiscono in rete o sui giornali, non ragionamenti pubblici costruiti per aggiustare la linea di un partito zoppicante. Qualche mese fa per l’appunto toccò al ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, quando parlò di Renzi e dei renziani e del loro atteggiamento con la scissione del Pd: “Non capiscono un cazzo, perché sarà una cosa come la rottura della diga in California. Hai presente? C’è una crepa… L’acqua dopo non la governi più…”. Renzi invece “non ha fatto neanche una telefonata, su, come cazzo fai in una situazione del genere a non fare una telefonata?”. “Richetti e Delrio usano i fuori onda per parlare”, dice un deputato del Pd che conosce bene entrambi. Strano che lo faccia il portavoce del Pd, che alla fine è sopratutto il portavoce di se stesso.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.