LaPresse/Vincenzo Livieri

E' ora di un nuovo cattolicesimo politico italiano

Luca Del Pozzo

Le misure adottate dal parlamento in quest’ultimo scorcio di legislatura hanno sancito la definitiva irrilevanza del cattolicesimo nella vita sociale e politica del paese

Se qualcuno poteva ancora nutrire qualche dubbio, le misure adottate dal parlamento in quest’ultimo scorcio di legislatura – vale a dire l’approvazione della legge sul testamento biologico (tardivamente, oltreché inutilmente criticata dalle gerarchie della chiesa italiana), e la mancata approvazione della legge sullo ius soli (all’opposto fortemente voluta da una parte delle stesse) – hanno sancito la definitiva irrilevanza del cattolicesimo nella vita sociale e politica del paese. Il che se per un verso è oltremodo paradossale se solo si considera che i capi di governo che si sono succeduti nella legislatura passano per essere cattolici, dall’altro si tratta di un paradosso solo apparente; e la storia di questi ultimi cinque anni non fa altro che confermare una precisa interpretazione del rapporto fede-politica fatta propria da una buona parte della classe dirigente del paese – interpretazione secondo cui in politica (ma non solo) a garanzia del pluralismo e della laicità la fede deve essere relegata ad affare di coscienza (ciò che da altra angolazione dimostra la protestantizzazione di fatto della società italiana, che però non pare essere più un problema) – in nome della quale negli anni 70 del secolo scorso furono varate le leggi sul divorzio e sull’aborto sotto due governi democristiani. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque. Resta tuttavia il fatto che se guardata sotto la lente della dottrina sociale della chiesa, e senza nulla togliere al lavoro degli storici, la legislatura che si chiude sarà probabilmente ricordata come una delle peggiori se non la peggiore in assoluto di tutta la storia repubblicana, tali e tanti i provvedimenti che hanno rappresentato altrettanti vulnus alla visione cattolica dell’uomo e della società. Al punto che si può tranquillamente affermare che l’Italia non solo non è più un paese cattolico, ma anche che non è più un paese per cattolici. Ora l’interesse qui, e di conseguenza la necessità di una seria e profonda riflessione in grado di coinvolgere auspicabilmente anche i laici e più in generale tutti coloro che hanno a cuore le sorti del paese, non è tanto l’irrilevanza in sé del cattolicesimo, quanto il fatto che la chiesa italiana sembra non voler opporre più alcuna resistenza alla deriva secolarista e laicista in corso, essendo altre le urgenze (esemplare la vicenda della legge Cirinnà sulle cosiddette unioni civili). Non solo. Ma anche quando la chiesa italiana ha provato – come nel caso dello ius soli – a far sentire la sua voce e a sensibilizzare la politica, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ciò comporta due ordini di problemi. Il primo, la necessità di individuare forme e modalità nuove e più efficaci di interlocuzione, di pari passo con un attento esame circa l’adeguatezza di chi è chiamato ad assumere ruoli per loro natura estremamente delicati onde evitare ulteriori, imbarazzanti défaillances. Il secondo, e più urgente, la necessità che il laicato cattolico maturi al più presto una rinnovata coscienza sia della gravità delle sfide e della posta in gioco sia dell’importanza del proprio ruolo, riaffermato con forza dal Concilio Vaticano II e dal magistero successivo fino alla definitiva archiviazione della figura del vescovo-pilota. I tempi sono insomma maturi, e anzi oggi più che mai se ne sente il bisogno, per una nuova stagione del cattolicesimo politico italiano, il cui primo banco di prova saranno, ovviamente, la prossime elezioni politiche.

  

Basta compromessi al ribasso

Una nuova stagione con al centro una rinnovata proposta politica che rifuggendo la tentazione di compromessi al ribasso per un mero tornaconto di poltrone e strapuntini, dovrà piuttosto sforzarsi di promuovere in tutti modi possibili i princìpi basilari che tuttora innervano e costituiscono l’impalcatura della dottrina sociale della chiesa, ossia la promozione della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e la libertà religiosa e di educazione. E questo con buona pace di altre, presunte emergenze/esigenze che lette con le stesse lenti di una certa teologia dell’inculturazione, possono forse avere un senso a certe latitudini ma non ad altre. E di sicuro non alle nostre. In tale contesto, risulta fondamentale la consapevolezza che anche oggi, allo stesso modo che per le grandi ideologie del Novecento e come sempre è accaduto nella storia, esistono e sono all’opera forze politiche, culturali, economiche e sociali che vogliono soppiantare l’antropologia cattolica per sostituirla con un’altra visione dell’uomo e della società, a essa radicalmente opposta. Si tratta allora, riscoprendo la proposta filosofica di Augusto Del Noce tuttora attualissima, di assumere l’atteggiamento della “risposta a sfida”, che nella prospettiva del filosofo cattolico voleva dire sfidare, appunto, l’avversario – ieri il marxismo/comunismo oggi il laicismo/individualismo – sul suo stesso terreno, quello della storia. E’ di tutta evidenza che il successo o l’insuccesso, o se si vuole l’efficacia o l’inefficacia di qualsivoglia proposta politica, inclusa quella cattolica, dipende da svariati fattori; ma è altrettanto vero che in ultima istanza la presenza dei cattolici nella politica e nella società e la loro capacità di influire sulle scelte fondamentali del e per il paese non dipenderà che da loro stessi. Da qui la domanda: cosa vuole fare il laicato cattolico italiano? Assumere la prospettiva della cosiddetta “Opzione Benedetto”, teorizzata da Rod Dreher, e ritirarsi dalla società per riscoprire e vivere la fede in piccole comunità, o provare piuttosto a invertire la rotta e ripartire? O magari portare avanti, tema questo che meriterebbe ulteriori approfondimenti, entrambe le prospettive, ciascuna delle quali potendo perfettamente rappresentare il complemento dell’altra? Che se poi, invece, i tempi che stiamo vivendo sono quelli in cui nella chiesa sta venendo meno quel potere, di cui parla san Paolo, che fino a ora e in ogni epoca ha “trattenuto” il dilagare dell’empietà, preludio alla piena manifestazione dell’Anticristo, in questo caso i discorsi da fare sarebbe ben diversi e di tutt’altro tenore. E forse anche inutili.

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