Foto Daddy via Flickr

Sardi alle urne per ricordare all'Italia che la Sardegna è un'isola

Matteo Mascia

Depositate oltre 90 mila hanno firme con la richiesta di referendum consultivo. Obiettivo: inserire il concetto di “insularità” nella Costituzione 

I sardi saranno chiamati alle urne per un referendum consultivo sull’insularità. Una nuova tornata elettorale in cui i cittadini ricorderanno al governo nazionale e ai vertici dell’Unione europea che la Sardegna è una terra emersa circondata dal mare. Un dato ovvio e reso evidente da cartine e atlanti che servirà però a richiedere uno status particolare e maggiori tutele per residenti e imprese: lo Statuto speciale promulgato nel 1948 avrebbe bisogno di una messa a punto e così si è deciso di rivolgersi agli elettori per dribblare una procedura lunga e perigliosa. Un espediente utile a dare la stura alla campagna elettorale per le politiche. Il Comitato promotore mira infatti a far inserire il concetto di “insularità” nella Costituzione: una novità che potrebbe essere raggiunta solo con un procedimento di revisione della legge fondamentale. Per la validità del referendum non è richiesto il raggiungimento di un quorum. Il risultato dello spoglio avrà quindi un valore meramente politico, saranno Giunta e Consiglio regionale ad utilizzarlo nell’eterna tenzone con lo Stato centrale.

 

I rapporti con Roma sono sempre più tesi. Da anni, qualunque sia il colore della Giunta regionale di turno, si dipinge uno Stato centrale patrigno ed incapace di dare risposte alle legittime aspettative dei sardi. Una semplificazione utile a mettere in secondo piano le mancanze di una classe dirigente che – in settant’anni – non è stata capace di dare piena attuazione allo Statuto elaborato dall’Assemblea costituente. L’insularità diventerebbe quindi un complemento per garantire la sopravvivenza dello Statuto speciale: condizione da tempo nel mirino dei partiti nazionali.

 

Gli esponenti referendari hanno celebrato la consegna di oltre novantamila firme in Corte d’appello con una conferenza sulla scalinata del tribunale di Cagliari. Sotto l’edificio dai tratti razionalisti c’erano politici di tutti gli schieramenti; destra e sinistra si sono ritrovate unite nel chiedere maggiori risorse economiche e maggiore autonomia. Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale, ha ricordato che l’appuntamento elettorale sarà utile per ribadire che la condizione di insularità garantirà la piena attuazione dell’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. L’esponente Pd ha anche ricordato che il referendum va nella direzione indicata dalla massima assemblea sarda durante i lavori della “Consulta sardo-corsa”. Il revanscismo sardo ha infatti regalato un fiorire di relazioni tra Cagliari ed Ajaccio. Sull’isola che ha dato i natali a Bonaparte comandano le formazioni autonomiste: partiti anticentralisti che hanno visto di buon occhio il dialogo con i cugini sardi per cercare di avere peso a Bruxelles.

 

I pionieri della raccolta delle firme sono stati i Riformatori sardi, partito sardo figlio dell’epopea referendaria di Mariotto Segni. Senza il loro impegno non si sarebbe mai raggiunto il risultato che, come sempre, appare già storico e capace di cambiare la storia dell’Isola.

 

Sarà comunque difficile anche solo ipotizzare che una politica dei trasporti più equa o la ripresa economica possano derivare dal risultato di un referendum. Senza un serio esame di coscienza da parte di tutti i protagonisti sulla scena si rischia di allontanarsi ancora di più della terraferma. Non sarà un aggettivo a garantire un futuro più roseo e a limitare l’emigrazione giovanile. L’appuntamento con le urne dovrebbe essere fissato a ottobre 2018. Il concetto di insularità – quanto meno dal punto di vista geografico – sarà riaffermato con percentuali bulgare.