Beppe Grillo e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Il M5s e la lezione di Benjamin Constant

Lorenzo Castellani

Perché il dispotismo nasce dalla democrazia senza contrappesi di cui i Cinque stelle sono paladini

Roma. Il 25 ottobre di 250 anni fa nasceva a Losanna Benjamin Constant, uno dei massimi pensatori del liberalismo moderno. Considerato a lungo come un polemista di secondo piano è stato progressivamente riscoperto dall’inizio negli anni Ottanta grazie al mutamento del clima culturale causato dalla crisi del marxismo. Pensatore lucidissimo e borghese, è stato il primo, insieme ad Alexis de Tocqueville, a individuare le grandi fratture storiche fuoriuscite dalla Rivoluzione francese quali la fine dello Stato come monolite, incrinato dalla tutela giuridica delle libertà e dei diritti, l’affermarsi degli Stati nazionali come elemento politico caratterizzante la modernità, il predominio dei commerci rispetto alle guerre e alle società militarizzate.

 

Constant si è reso protagonista di due maggiori speculazioni teoriche: la critica al pensiero di Rousseau e la riflessione sulla libertà dei moderni. Sul primo versante, ha evidenziato la fallacia della teoria della volontà generale scrivendo nel suo Contratto sociale: “Vi è di sovente molta differenza tra la volontà di tutti e la volontà generale: questa riguarda solo l’interesse comune, l’altra l’interesse privato e non è che una somma di particolari volontà; ma se si toglie da queste volontà stesse quelle che con le loro richieste in più o in meno si eliminano tra loro, resterà come risultato della somma delle differenze la volontà generale”. Ciò che risulta evidente in Rousseau è il processo di annullamento delle volontà particolari che porta alla formazione della volontà generale la quale è espressione di una società non afflitta da particolarismi, di una società “sana”. Una teoria che, negli avvenimenti della Rivoluzione Francese e nel conseguente regime del Terrore, aveva mostrato tutta la sua debolezza favorendo l’affermazione prima dell’anarchia e poi del dispotismo. Due situazioni considerate illegittime da Constant poiché lesive delle libertà dei cittadini e volte ad annientare il ricambio delle élite, cioè la possibilità del buon governo.

 

Un posizione, quella di Constant, che mostra tutta la sua ispirazione liberale: l’individuo non aliena il proprio particolarismo come avviene invece per Rousseau. Da buon liberale Constant vede positivamente il dissenso in seno alla società, una condizione che oltre ad essere normale e fisiologica è anche auspicabile. Mentre Rousseau interpreta il dissenso come una prova della “malattia” del corpo sociale che si manifesta in antagonismo, conflitti e lunghe discussioni, Constant riscontra in esso lo stato di “salute” della società.

 

Per Constant è sicuramente vero che la totalità dei cittadini è sovrana, nel senso che nessuno può esercitare il potere senza che gli sia stato delegato dalla società, “ma da ciò non segue che la totalità dei cittadini, o coloro che da questa sono investiti dell’esercizio della sovranità, possa disporre in maniera sovrana dell’esistenza degli individui”.

 

Esiste, infatti, una parte dell’esistenza umana che deve rimanere sottratta alla giurisdizione della sovranità, una porzione della vita di ciascun individuo che resta indipendente dall’esercizio del potere. Egli scrive, marcando la differenze tra la libertà degli antichi e quella dei moderni: “Il risultato di tutte queste differenze è che la libertà non può essere presso i moderni quel che era presso gli antichi. La libertà dei tempi antichi era tutto ciò che assicurava ai cittadini la più ampia partecipazione possibile all’esercizio del potere sociale. La libertà dei tempi moderni è tutto ciò che garantisce l’indipendenza dei cittadini dal potere.” Quest’ultima è ciò che Constant chiama libertà civile e va distinta dalla libertà politica, cioè la partecipazione alla vita politica. La libertà civile non può sussistere per lungo tempo se non si accompagna alla libertà politica, la quale permette di controllare e limitare il potere. Tuttavia, libertà politica è tale solo se si accompagna alle libertà civili, senza le quali “l’individuo è privo di quella indipendenza che gli permette di formarsi libere convinzioni”. Il problema della relazione tra libertà civile e libertà politica viene a coincidere inevitabilmente con la questione del rapporto tra liberalismo e democrazia. Perché mai viene estirpato il germe del dispotismo e nei tempi moderni il despota nasce sempre dalla democrazia, quando limiti e contrappesi alla volontà popolare imposti dal liberalismo si rompono, le élite vengono travolte e il popolo sottomesso. Una lezione che troppo spesso, ancora oggi, continua ad essere dimenticata.

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