Silvio Berlusconi al Parlamento Europeo (foto LaPresse)

Berlusconi in campo, stragismo dovuto

Redazione

I meccanismi pericolosi del circo mediatico svelati dall’inchiesta sul Cav.

La descrizione migliore dell’indagine a carico di Silvio Berlusconi come mandante delle stragi di mafia del 1992-93, l’hanno data paradossalmente, quasi come una voce dal sen fuggita, l’ex pm della procura di Palermo Antonio Ingroia e il Fatto quotidiano. Ingroia: “Berlusconi è tornato in politica, è un atto doveroso indagare”. Insomma, è una specie di atto dovuto. E allo stesso modo la cosa è stata riportata dagli organi di stampa, che non hanno dato un grandissimo risalto alla notizia non per una presunta censura paventata dal M5s ma per assuefazione, pigrizia e ripetitività dell’accusa. Il risalto è quello che viene dato alla quarta o quinta discesa in campo di Berlusconi o all’ennesimo contratto con gli italiani.

 

È almeno la quarta volta che Berlusconi viene indagato come burattinaio delle bombe mafiose che hanno insanguinato l’Italia. E tutte le volte, compresa questa (ma è solo un pronostico), l’accusa viene archiviata. È accaduto con le due precedenti indagini della procura di Firenze (questa è la terza) e con quella della procura di Caltanissetta: nessun riscontro alle dichiarazioni dei boss pentiti di Cosa nostra, che hanno preceduto i dialoghi del boss Giuseppe Graviano con il compagno di socialità al 41 bis. La verità è che nessuno prende sul serio questa inchiesta, che ormai dura ininterrottamente da una ventina d’anni, non i media, non gli avversari politici del Cav. (a parte il M5s), probabilmente neppure gli inquirenti. L’unico reato che c’è di sicuro è la fuga di notizie, ma a quello siamo ormai tutti abituati. La cosa paradossale è che alla normale riservatezza era stato posto un secondo livello di sicurezza per rendere la delicata indagine supersegreta: mettere i nomi degli indagati in codice. Una volta Berlusconi e Dell’Utri erano “Autore Uno e Autore Due”, un’altra volta “Alfa e Beta”, questa volta forse “Pippo e Pluto”, ma sempre sui giornali sono andati a finire.

 

È ovvio che se avessero ritenuto l’inchiesta solida, gli inquirenti sarebbero riusciti anche a tenerla segreta. Ciò che c’è invece di serio e preoccupante in questa vicenda è il fatto che tutto sia partito dal lavorìo del pm Nino Di Matteo, il magistrato della Trattativa che riceve e ricambia gli apprezzamenti dal M5s, non senza escludere un’entrata in politica in un futuro governo. In realtà il suo ingresso nell’agone politico Di Matteo l’ha fatto da tempo, quando si è schierato per il No al referendum costituzionale accusando Matteo Renzi di averne discusso con Berlusconi, il capo di una forza politica vicina a Cosa nostra. La questione seria non è tanto che i magistrati entrano in politica, ma che prima non escono dalla magistratura.

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