La sede di Consip in Via Isonzo (foto LaPresse)

Credibilità zero

Roberto Arditti

La surreale vicenda Consip non può essere derubricata a caso di malcostume. C’è ben di più

E’ tutta una questione di prospettiva, amiche e amici giornalisti, magistrati, ministri, carabinieri e così via. Perché la vicenda Consip è una certa storia con i suoi protagonisti, i comprimari, le scene in interni e quelle in esterni e così via se la guardi a livello zero, diciamo al piano del marciapiede. Ma è tutta un’altra storia se la guardi dall’alto, salendo con un drone immaginario ma capace di darci uno sguardo d’insieme. Già, perché al livello zero è una roba abbastanza normale, almeno nelle ipotesi di partenza.

 

In alcuni uffici giudiziari si ipotizza che qualcuno (compreso il babbo del primo ministro, ma anche altri) abbia approfittato della propria posizione per lucrare vantaggi nell’assegnazione di gare pubbliche e che qualcuno abbia approfittato del proprio ruolo di vertice (Del Sette, Lotti, Saltalamacchia) per mettere sul chi va là gli indagati. Corruzione, per chiamare le cose con il loro nome in sede penale, quindi roba grave e seria, anzi serissima (più alcuni altri reati). Ma, tutto sommato, abbastanza semplice dal punto di vista logico. Poi però, come ben sappiamo, la vicenda finisce per complicarsi assai, tanto che oggi ci troviamo al centro di una matassa difficile da districare, dove (chissà come e chissà quando) bisognerà tentare di capire chi ha fatto bene oppure male tra i politici e i loro parenti, tra i manager pubblici, tra gli imprenditori, tra i magistrati e nelle forze dell’ordine. A ogni modo, al livello zero, quello del marciapiede, si ragiona e si indaga per capire chi sono, individualmente intesi, i colpevoli e gli innocenti.

 

Così fanno gli uffici giudiziari, così fa il Csm, così l’Arma dei carabinieri, così il governo (che ha rimosso i vertici Consip), così i giornalisti (divisi in falangi contrapposte come raramente si è visto) e così fa l’opinione pubblica, che giudica votando. In buona sostanza vedremo, prima o poi, se la procura della Repubblica di Roma vorrà mettere sotto processo qualcuno, vedremo se il Csm riterrà censurabile il comportamento di Woodcock o di altri magistrati, vedremo se il quartiere generale di Viale Romania riterrà gli ufficiali dei carabinieri De Caprio o Scafarto degni di un premio o di una punizione. E vedremo se Renzi e i suoi avranno contraccolpi nella loro azione politica e istituzionale. Ricordiamoci sempre che la responsabilità penale è personale e lo stesso vale per quella disciplinare e, in fondo, pure per quella politica. Se però proviamo a salire di quota, la scena cambia e non di poco. Mettiamo il nostro drone immaginario abbastanza in alto per vedere tutta la scena, ma abbastanza vicino a terra da riconoscere volti e movimenti di tutti i soggetti. Ecco allora che si mostra il quadro d’insieme, che è proprio brutto, sporco e cattivo. E’ il quadro di un paese in balìa di una guerra per bande, dove nel tutto contro tutti c’è la vera cifra nazionale. Qualche domanda, per capirci meglio.

 

Dove tutto è nato

All’origine dell’inchiesta c’è una disputa tra sezioni della procura di Napoli, per decidere se la notizia di reato è competenza di chi indaga sulla criminalità organizzata o sui reati contro la Pubblica amministrazione. Lo abbiamo appreso dalla audizioni al Csm. Perché si è scelta la prima strada? Lavora per mesi al dossier il gruppo del Noe dell’Arma dei carabinieri, teoricamente specializzato nel perseguire reati di carattere ambientale. Ha un senso vederlo all’opera in questa vicenda? Dopo un tempo non breve, gli uffici preposti decidono che l’indagine è di competenza della procura della Repubblica di Roma. Perché non lo si poteva stabilire subito, alla nascita della presunta notitia criminis?

 

Vediamo coinvolti molti uffici giudiziari (persino la procura della Repubblica di Modena, il cui massimo dirigente è stato ascoltato al Csm). Era proprio necessario parlare a destra e a manca di questa inchiesta? Sono domande capziose, rispetto all’obiettivo principale che è capire se qualcuno ha commesso reati? Neanche per sogno, per il semplice fatto che agendo in questo modo si è ottenuto un semplice effetto devastante, cioè quello di mettere in circolazione montagne di carte, di intercettazioni, di ordinanze che, anche grazie all’attivismo, diciamo così, di molti avvocati, sono diventate di dominio pubblico. Si è insomma alimentato a dismisura quel clima di sospetto collettivo che rende tutto opaco, tutto opinabile, tutto sporco. Oggi cioè siamo nella tipica situazione italiana, con Renzi e chi la pensa come lui soddisfatto per le ultime evoluzioni della vicenda (tutta l’inchiesta ha oggettivamente perso di credibilità, anche se va detto che gli uffici giudiziari romani stanno lavorando adesso con serietà e discrezione) ma al tempo stesso con i suoi critici che possono continuare a sventolare la bandiera accusatoria (come fa ogni giorno il Fatto quotidiano).

 

Eccola, l’Italietta di sempre, un po’ schifosa e assai ipocrita. Possiamo rubricare tutto ciò a malcostume ininfluente? Neanche per sogno. Siamo di fronte a fatti di una gravità enorme, che necessitano di risposte nei tempi più rapidi. Fatti che minacciano alla radice la credibilità delle istituzioni repubblicane, che possono essere riassunti in due domande. Qualcuno vicino all’ex premier e oggi segretario del Pd Matteo Renzi ha approfittato della propria posizione per commettere atti illegali sì o no? Funzionari dello stato di varia tipologia (dirigenti di aziende pubbliche, magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria) sono venuti meno ai propri doveri sì o no? Se non troveremo presto risposta a queste domande non usciremo dalla condizione di nazione poco credibile, opaca e levantina. Anche perché, nel frattempo, la gara pubblica di cui si parla non è mai stato aggiudicata, pur essendo stato pubblicato il bando nel marzo del 2014, cioè oltre tre anni fa. Una gara da 2,5 miliardi di euro che giace nel limbo dei ricorsi e dei rinvii. Uno scandalo nello scandalo, di cui però nessuno parla. Huston, abbiamo un problema. E non da poco.