Dopo Renzi, sul patibolo dei giustizialisti finirà anche Beppe Grillo
Dal 1992 ad oggi è sempre la magistratura a guidare le danze anche sul piano degli equilibri politici. Adesso tocca all'ex premier ma non finirà qui
Purtroppo anche le espressioni più drammatiche perché descrivono vicende gravissime e comportamenti inaccettabili a forza di essere ripetute rischiano di risultare scontate. Tale è l’espressione “uso politico della giustizia” che nella sostanza esprime il fatto assolutamente drammatico che in Italia è saltato lo stato di diritto, fondato sulla divisione degli “ordini” e dei poteri e che, più precisamente, dal 1992-‘94 ad oggi, è la magistratura a guidare le danze anche sul piano degli equilibri politici. Da allora ad oggi siamo arrivati in un certo senso allo stadio terminale. Nel ’92-‘94, caso unico in Europa, ben cinque partiti e relativi leaders e una buona parte della classe politica circostante scomparirono di scena non per il voto degli elettori, ma per la “sentenza anticipata” espressa dagli avvisi di garanzia urlati dai TG e dai titoli dei famosi quattro quotidiani (Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Unità) consorziati fra di loro in una sorta di pool parallelo a quello costituito dai pm di Mani Pulite. In primo luogo Craxi, poi Forlani, quindi larga parte dei gruppi dirigenti della Dc e del PSI, furono additati al pubblico ludibrio: “il cinghialone” non poteva non essere colpevole e i fascio-comunisti celebrarono la loro piazzale Loreto a largo Febo davanti all’Hotel Raphael con il lancio delle monetine. Che poi un bel po’ di quei comunisti e di quei fascisti successivamente sono anch’essi finiti in guai giudiziari è un’evidente testimonianza della veridicità del motto “chi la fa l’aspetti”.
Non parliamo poi di quello che è avvenuto nei 20 anni successivi, dal 1994 al 2013. Il ventennio berlusconiano è stato scandito dalle operazioni delle procure che sono andate dalle ipotesi stragiste (secondo esse Berlusconi e Dell’Utri erano i registi o addirittura, secondo qualche versione più hard, gli esecutori della strategia della tensione del ’92-’93 che ha disseminato di bombe alcune città italiane), a “normali” reati di corruzione e di concussione, fino alle trasgressioni criminal-sessuali con le famose olgettine colte fior da fiore fra Casoria, la Puglia, Roma e Milano, anch’esse oggetto di travolgenti iniziative giudiziarie con tanto di perquisizioni, pedinamenti, intercettazioni, ovviamente tutti comunicati in diretta a gazzette e telegiornali in omaggio al segreto istruttorio.
Poi da quando una legge incredibile, che prevede l’esclusione dal parlamento per una sentenza di primo grado e che fu per equità accompagnata addirittura da una interpretazione retroattiva, ha parzialmente messo fuori gioco Berlusconi, allora dopo una una breve fase sospensiva per carenza di soggetti, ecco che nel mirino è entrato il PD, anche per una sorta di nemesi storica: grazie all’occhio di riguardo usato a suo tempo da Mani Pulite, quello del PD è l’unico sistema di potere rimasto in campo. Di conseguenza nell’occhio del ciclone sono finiti il PD e i suoi alleati di governo. Anche in questo caso, però, fra la demonizzazione realizzata per via giudiziaria e mediatica e i risultati processuali c’è stato uno squilibrio che avrebbe dovuto mettere in imbarazzo quei magistrati e quei giornalisti che per giorni e giorni hanno lavorato a stretto gomito per mettere il mostro in prima pagina: prosciolta Federica Guidi, cancellato dalla Cassazione il rinvio a giudizio di Clemente Mastella, prosciolto Ettore Incalza, assolto Vincenzo De Luca: poi la stessa sorte ha riguardato Salvatore Margiotta, Vasco Errani, Ilaria Capua così come Antonio Penati e poi Ignazio Marino. L’apoteosi viene raggiunta con Stefano Graziano messo alla gogna da tutte le gazzette, che invece hanno taciuto, per ragioni di riserbo, quando le accuse per concorso esterno in associazione mafiosa sono state archiviate. Sul lato politico opposto dopo analoghi fuochi d’artificio di giornali e di televisioni le assoluzioni o i proscioglimenti hanno riguardato Luigi Cesaro, Antonio D’Alì, Maurizio Gasparri.
Adesso il grand guignol viene apprestato nei confronti di Matteo Renzi.
Nel passato sono state poste in essere due metodologie. Nel caso Craxi si è seguito quello dell’attacco frontale: uno che ha l’aspetto del “cinghialone” non solo non poteva non sapere ma era certamente “un grande criminale”. Come disse Francesco Rutelli “non vediamo l’ora che Craxi prenda il rancio a Regina Coeli”. L’altra metodologia è invece quella della manovra avvolgente: si comincia con i padri, i figli, le mogli, gli amici, per poi arrivare al bersaglio principale. A quanto sembra nei confronti di Matteo Renzi si sta seguendo questa seconda metodologia. Per ora il “cinghiale” è Tiziano Renzi. Allora nel suo caso tutto è buono. La lettera T scritta su un “pizzino” recuperato da una discarica è certamente riferita a Tiziano Renzi, le “bistecche” sono certamente le tangenti. Poi ovviamente viene preso per oro colato quello che dice un cavaliere senza macchia e senza paura come l’attuale amministratore delegato della Consip, Luigi Marroni, che adesso ricorda che tale Russo gli disse che Tiziano Renzi lo minacciava avendo in mano la sua carriera: ma perché Marroni non si è rivolto subito ai magistrati? Questo e molto altro ancora viene miscelato e poi rilanciato da un giornale ad un talk show con i direttori dei quotidiani e i conduttori televisivi che si rilanciano la palla. In questo modo il processo è fatto, le condanne sono già date, la Cassazione si è pronunciata nel terzo grado di giudizio. Matteo Renzi tramite suo padre, Luca Lotti e quanti altri è certamente colpevole: tutti quanti devono salire sulla carretta che li porti alla ghigliottina. Meccanismi di questo tipo sono inarrestabili. Così alla fine, dopo il taglio di tante teste finirà al patibolo anche Beppe Grillo, nel tripudio delle tricoteuses e di Di Maio, di Fico, di Di Battista e della Lombardi. No, grazie, non partecipiamo a questo suicidio in diretta televisiva dell’Italia.