Alfredo Romeo (Foto La Presse)

I punti deboli nell'inchiesta su Romeo e quella profezia di D'Alema su Renzi

Annalisa Chirico

I legali dell'imprenditore sollevano dubbi sul valore probatorio dei presunti “pizzini”, la sua società non si è aggiudicata l’appalto delle meraviglie, vedremo quel che accadrà

Roma. Corruption by “pizzino”. Un tempo per provare la corruzione di qualcuno dovevi beccarlo con la mazzetta sotto il materasso o magari nell’istante in cui il corrotto si adoperava affannosamente per far sparire il fascio di banconote lungo il sifone del water. A distanza di venticinque anni dall’arresto di Mario Chiesa, momento prodromico della catarsi giudiziaria nota come Tangentopoli, il modus operandi si rinnova: oggigiorno basta un “pizzino”, foglio di carta sminuzzato accartocciato e ricomposto, accostamento artefatto di numeri e consonanti (non servono nomi, sufficienti le lettere), il collage di combinazioni possibili è il metodo designato per ricostruire la ragnatela di accordi e rapporti illeciti. I “pizzini” di Ciancimino, farlocchi come l’artefice, cedono il posto ai “pizzini” di Romeo, non il disperante amore di Giulietta, ma Alfredo, imprenditore partenopeo che, indagato dalla procura di Napoli per concorso esterno in associazione mafiosa a causa di certe maestranze ingaggiate all’ospedale Cardarelli, viene arrestato non già per l’imputazione pseudomafiosa ma per le presunte mazzette versate a un reo confesso funzionario Consip, Marco Gasparri. Vecchia storia attualizzata da qualche neologismo, tangenti in cambio di commesse pubbliche, un maxi appalto da 2 miliardi e 700 milioni divisi in diciotto lotti, il “prototipatore” come mot-clé per ottenere bandi e capitolati cuciti su misura, procedure da oliare in nome di quella che il gip bolla come “legittima difesa criminale”.

 

Il top manager, come si diceva, è indagato per mafia ma arrestato per il puzzle di carta corruttiva, e questa seconda vicenda, all’apparenza meno rilevante sul piano penale, costituisce la chicca succulenta, la ciliegina sulla torta o, se preferite, l’oliva sul Martini variante Hemingway. C’è un cognome che aleggia nell’aere e di luce rifulge: R-E-N-Z-I, il padre dell’ex premier è indagato per traffico d’influenze illecite, il “reato evanescente” contestato da giuristi di rango. Secondo la pubblica accusa, con fonte primigenia la procura di Napoli e il fiuto investigativo del pm Henry J. Woodcock, passando per i buoni uffici di un ignoto imprenditore di Scandicci, Carlo Russo, Romeo avrebbe ottenuto l’interessamento di Tiziano Renzi presso l’ad Consip Luigi Marroni. Adesso che Matteo Renzi non è più premier né segretario Pd (neppure parlamentare, zero immunità), l’inchiesta avviata due anni fa irrompe prepotentemente nella contesa congressuale interna al partito di maggioranza relativa, ammanta di una coltre opaca la “filiera ibrida” delle relazioni gigliate, ispira pensosi editorialisti che mestano nel torbido dei non detti in virtù della presunzione di colpevolezza.

 

“Secondo l’assunto accusatorio – si legge nell’ordinanza di arresto a carico di Romeo – tra questi tre punti (Gasparri-Bocchino-Romeo, ndr), si colloca l’agire di alcuni altri soggetti su cui il pm non ha ad oggi evidenziato imputazioni, attivissimi nel proporre accordi, veri o falsi, individuare referenti reali o supposti, stabilire tangenti effettive o ipotetiche, in un nodo che dovrà essere sciolto dall’accusa”. Insomma, allo stato dell’arte, le accuse nei confronti di Renzi senior e Lotti sono mera ipotesi accusatoria, tutta da dimostrare, priva di qualsiasi vaglio giurisdizionale, perciò l’indagine nei loro confronti, trasferita per competenza a Roma, dovrebbe restare fuori dalla polemica politica affinché gli approfondimenti necessari possano svolgersi con la dovuta serenità.

 

Invece Michele Emiliano, in love with Cuba, mostra al Fatto quotidiano, succedaneo del pm, gli sms di due anni prima in cui un innocuo Lotti, richiesto di un parere su tale Russo, risponde: “Se lo incontri per 10 minuti non perdi il tuo tempo”. Nei prossimi giorni il magistrato in aspettativa, neocandidato alla guida di un partito politico, si recherà in procura non per autodenunciarsi, attesa la violazione della legge del 2006 che vieta alle toghe in carriera di trasformarsi in leader politici, ma per rendere la sua versione dei fatti ai pm. Dovere civico, altroché.

 

E se i pozzi non fossero già abbastanza inquinati, intervengono i grillini, Luigi Di Maio in testa, che ai microfoni lancia accuse tranchant: “L’imprenditore arrestato finanzia la fondazione di Renzi con la quale l’ex premier sta girando per la campagna elettorale. Renzi deve rendicontare le entrate della fondazione”. Eppure il vicepresidente della Camera, già webmaster in una vita precedente, avrebbe potuto gugolare per scoprire che i finanziatori sono tutti online. Alberto Bianchi, presidente della fondazione Open, notoriamente parco di esternazioni, replica infastidito: “La Isvafim spa, non Romeo, ha finanziato Open quattro anni fa con un contributo che corrisponde a meno del 2% dei finanziamenti avuti complessivamente da Open. Quel finanziamento sta sul sito di Open. Se poi qualcuno ipotizza che in cambio di quel finanziamento Open o il suo presidente abbiano dato qualcosa alla Isvafim o a Romeo, ci divertiremo davanti a un giudice della Repubblica, a scelta di Di Maio”.

 

Alfredo Romeo si difenderà nel processo, in passato è stato indagato e assolto, i legali sollevano “insormontabili dubbi” sul valore probatorio dei presunti “pizzini” rinvenuti nell’immondizia, la sua società non si è aggiudicata l’appalto delle meraviglie, vedremo quel che accadrà. Nel frattempo il clamore mediatico della vicenda ha già consegnato i primi frutti avvelenati. Nell’entourage renziano si avverte la pressione mediatico-giudiziaria, qualcuno consulta i penalisti che rassicurano: per traffico d’influenze, pena massima sotto i due anni, nessun pm può ottenere un arresto. Babbo Renzi, che dopo una vita da incensurato ha già sopportato negli ultimi due anni l’odissea di un’interminabile indagine poi archiviata, si stringe nelle spalle: “Nessuno mi ha mai promesso soldi né io ho mai chiesto alcunché. Gli unici soldi che spero di ottenere sono quelli del risarcimento danni per gli attacchi vergognosi che ho dovuto subire in questi mesi”, si comincia in tribunale il 16 marzo con l’audizione di Marco Travaglio. Il clima è rovente. Nel paese dove già una volta un governo è caduto per un’inchiesta infondata (esecutivo Prodi, 2008) e lunga è la lista di esponenti politici votati dai cittadini e destituiti dai magistrati, l’attivismo di certe procure genera spesso inquietudine. Torna alla mente il vaticinio sinistro di D’Alema risalente ad appena due anni fa: la caduta di Renzi? Per mano giudiziaria.